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IL centenario

I 100 anni di Renato, carabiniere-eroe che salvò gli italiani dai lager

A Torino l'Arma omaggia il signor Bello: «In guerra ne ho viste tante, ma sono ancora qui»

I carabinieri festeggiano Renato Bello, 100 anni

I carabinieri festeggiano Renato Bello, 100 anni

Il regalo più bello gliel’ha fatto la “sua” Arma. I carabinieri. «Che porterò sempre nel mio cuore. Io che sono stato carabiniere e che nella mia vita ne ho passate tante». E ne ha passate davvero tante Renato Bello, classe 1923, arrivato a compiere cent’anni dopo un’esistenza in cui ha visto la guerra, i morti e persino l’orrore dei campi di concentramento. A festeggiarlo, nella sua casa di via Boston, quartiere Santa Rita, c’erano i parenti, gli amici di sempre, lo scrittore Nevio Visconti - autore del libro in cui Renato racconta il dramma della guerra e dei lager nazisti - ma soprattutto i carabinieri. Una lettera scritta dal generale Teo Luzi, comandante dell’Arma, recapitata a casa di Renato dai militari della Compagnia Mirafiori, il maggiore Matteo Defilippis e il luogotenente Dionisio Sansone. In regalo, con la lettera, anche lo stemma araldico. «Sono orgoglioso di vedere dei carabinieri a casa mia, solo per me - dice Renato, voce flebile ma lucida, rotta da un po’ di emozione -. Quando ero un bambino e vedevo passare i carabinieri per strada, facevo loro il saluto».

Arruolatosi carabiniere a 19 anni, Bello durante la Seconda guerra mondiale si trovava in Grecia, a Rodi. Ma dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e l’arrivo dei tedeschi nell’isola, per salvare gli italiani presenti, compreso suo fratello, dai rastrellamenti, Renato ha falsificato i loro documenti. Salvando così moltissime vite da morte quasi certa. Tuttavia, il suo prezzo l’ha pagato e molto caro, perché è stato deportato a Mauthausen. «Il film dell’orrore che non vorrei aver mai visto», aveva rivelato al nostro giornale tre anni fa quando, 97enne, ripercorse in un’intervista per l’uscita del libro i drammi di quegli anni. Del campo, due cose gli erano rimaste impresse: la “scala della morte” scavata nella roccia della collina, e gli esperimenti dei medici nazisti. Anche su di lui, reso quasi deforme dai dottori tedeschi che erano arrivati persino a strappargli un muscolo da un braccio e a fargli delle iniezioni.

Ma Renato, incredibilmente, riuscì a sopravvivere, a tornare a casa e a trovare anche un lavoro, alla Fiat. Riuscendo a conoscere di persona l’ad Vittorio Valletta e persino l’Avvocato Gianni Agnelli, con cui parlava dei campi di concentramento e delle sofferenze che aveva patito in guerra. Sofferenze che, dopo tanti anni, ha raccontato in un libro, “La croce angelica”. «All’inizio Renato non voleva parlare del suo passato, poi pian piano si è confidato», dice Nevio Visconti, lo scrittore del libro.

Andato in pensione nel 1978, ricevuto il “premio fedeltà” dalla Fiat, il carabiniere Bello, allievo della caserma Cernaia, è arrivato ora a tagliare il prestigioso traguardo del secolo di vita. Più meritato che mai, visto tutto il suo passato. «Sono stanco - racconta - ma felice di essere arrivato a cent’anni, di avere conosciuto tante persone e di essere stato carabiniere». E il suo passato? «Un conto è raccontarlo, un altro è viverlo. A parlare si fa in fretta, vivere certe situazioni è un’altra cosa. C’è una differenza come dalla notte al giorno». Tra le lettere ricevute, anche quella di Lo Russo e del sindaco di Villarbasse, il suo paese. Ma il dono più grande gliel’ha fatto l’Arma. «Ho un ultimo desiderio: quando morirò, davanti alla mia bara voglio lo stemma dei carabinieri».

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