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La sentenza
20 Settembre 2023 - 15:57
Incitava uomini a collegarsi ai social network e da lì "offriva" la figlia 15enne: nuda e pronta a soddisfare le prestazioni erotiche della ragazzina, con la complicità del fidanzatino appena più grande. Bastava che i "clienti" pagassero la madre, che gestiva l’incredibile traffico in cambio di bonifici sulla sua carta PostePay.
Per questo la mamma, una 50enne torinese, è stata condannata a 4 anni e 10 mesi di carcere: la sentenza è arrivata poche ore fa al Tribunale di Torino, con la Terza sezione che ha attribuito una pena più pesante rispetto a quella chiesta dal pubblico ministero Lisa Bergamasco (che aveva chiesto 4 anni di condanna). I reati contestati sono sfruttamento della prostituzione e produzione di materiale pedopornografico: «La signora ha sempre respinto le accuse e anche la figlia le ha ridimensionate, tanto che ora è tornata a vivere con lei - commenta ora l'avvocato Freilone, che assiste la donna - Aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza per poi presentare ricorso alla Corte d'Appello».
Il caso risale a marzo del 2020 ed è stato scoperto dall’associazione nazionale antipedofilia La Caramella Buona, che ha intercettato i video su internet e ha segnalato tutto alle autorità competenti. E anche al padre della ragazzina: separato della moglie, non aveva idea di quello che succedeva in quella casa. Poi, quando l'ha scoperto, ha sporto denuncia anche lui.
Anche il programma Le Iene di Italia 1, con l'inviata Veronica Ruggeri, aveva realizzato un servizio intervistando sia la madre che la ragazzina, sollevando inquietanti interrogativi sul contesto familiare: «Non sono stata capace di dire a mia figlia "ma che cazzo combini, non si fa"» aveva detto la donna a Le Iene.
La verità processuale ha fatto emergere altro, almeno dal dibattimento di primo grado: i collegamenti ai vari social avvenivano quotidianamente, con numerosi “clienti” in tutta Italia e in particolare in Piemonte ed in Emilia Romagna. Ed era la madre a offrire la ragazzina quando era nella propria abitazione ma anche fuori, in spostamenti in auto in varie città.
La signora, quando ha rilasciato dichiarazioni spontanee durante il processo, ha ribadito quello che aveva dichiarato ai tempi in televisione. Cioè che lei non c'entrava nulla: «Non esistono giustificazioni per questa madre - dichiara Roberto Mirabile, presidente della Caramella Buona, costituita parte civile al processo con l’avvocato Antonio Radaelli - Se proprio voleva vendere qualcosa a uomini pervertiti, da condannare, almeno avesse venduto se stessa senza coinvolgere la figlia minorenne, le cui immagini ora circolano nel mondo senza regole del web, con danni impensabili».
L'imputata ha già dato un risarcimento simbolico alle parti civili, 400 euro all'associazione e altrettanti all'ex marito.
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