Cerca

L'ANALISI

Perse 1.300 imprese in due anni a Torino, e 7 su 10 hanno bisogno di soldi

L'allarme della presidente di Ascom, Maria Luisa Coppa: «Preoccupa la desertificazione commerciale, negozi di abbigliamento e bar sono in agonia»

Perse 1.300 imprese in due anni a Torino, e 7 su 10 hanno bisogno di soldi

La desertificazione commerciale continua ad allargarsi inesorabilmente a Torino. Analizzando i dati di Ascom Confcommercio e Format Research emerge che il saldo tra nuove aperture e chiusure risulta pesantemente negativo: -596 imprese nei primi nove mesi dell’anno, a cui si sommano le 693 perse nell’anno precedente. Il risultato è allarmante: quasi 1.300 imprese sul territorio hanno chiuso i battenti in meno di due anni e non sono state sostituite da altre attività.

L'ANALISI 

A preoccupare è anche la richiesta di credito per esigenze di liquidità e di cassa fatta da ben il 70% delle nostre imprese contro una media nazionale del 55%. Soltanto il 26% dichiara di avere effettuato investimenti, dato in linea con la media italiana, ma solo il 4% ha ristrutturato il proprio debito (19,3% media nazionale).

Il 36% delle imprese del terziario inoltre sta meditando di rinunciare alle assunzioni necessarie proprio a causa dell’aumento del costo del credito e dell’inflazione e il 42% teme che i rincari possano determinare una diminuzione della clientela. Non certo un segnale incoraggiante in vista del Natale.

I COMMERICANTI SPERANO NEL FUTURO

Ma c’è anche il risvolto della medaglia che lascia ben sperare per il futuro: per il 57% dei commercianti interpellati infatti l’inflazione non ha avuto alcun impatto, per il 64% il terzo trimestre è stato «uguale o migliore» rispetto a giugno, per l’81% l’occupazione è rimasta stabile e, in generale, il clima di fiducia a settembre è al 53%, in risalita rispetto a giugno (51%) e maggiore rispetto alla media italiana del 47%. Il 46% degli imprenditori inoltre conferma i piani di investimento per il 2024.

ALLARME ABBIGLIAMENTO

«Se da una parte le grandi imprese del turismo, della ristorazione e dei servizi alle imprese resistono, dall’altra le attività più piccole, come bar e negozi di abbigliamento sono in grande sofferenza» sottolinea la presidente di Ascom, Maria Luisa Coppa. Tra i motivi elencati compaiono, come già detto l’inflazione e la contrazione del credito, ma anche dei margini di guadagno a causa dell’aumento dei costi imposti dai fornitori.

«Il settore più in crisi - spiega la presidente di Ascom - è quello dell’abbigliamento: il clima impazzito fa saltare ai negozianti le vendite dei capi autunno inverno, un grande danno che si somma alle tre stagioni perse durante il periodo del Covid». Secondo Coppa inoltre la pandemia ha cambiato le abitudini dei consumatori: «Soprattutto i giovani preferiscono spendere in viaggi rispetto ai capi di abbigliamento firmati. Inoltre - aggiunge - i negozi devono anche subire la concorrenza sleale con il commercio online».

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Logo Federazione Italiana Liberi Editori L'associazione aderisce all'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria - IAP vincolando tutti i suoi Associati al rispetto del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e delle decisioni del Giurì e de Comitato di Controllo.