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Il caso
20 Dicembre 2023 - 08:18
Foto di repertorio
Quei 314 romeni risultavano residenti in via della Casa comunale 3. Oppure avevano indirizzi falsi. Ma in Italia, secondo l’accusa, non hanno mai messo piede. E di certo non ci hanno vissuto per dieci anni, uno dei requisiti necessari per prendere il reddito di cittadinanza: è proprio su questo intervallo di tempo che resta appeso un processo che vede 13 imputati, tra cui la principale responsabile di questo sistema fraudolento.
Il suo avvocato, Cesare Carnevale Schianca, ha presentato una memoria di 30 pagine per sollevare una questione di legittimità costituzionale proprio su questo requisito perché andrebbe contro alcuni dei principi fondamentali della Costituzione, tra cui gli articoli 2 e 3. Discriminerebbe i beneficiari “sotto accusa”, che sono romeni e cittadini europei. Quindi hanno diritto alla libera circolazione e ai servizi sociali, come previsto dal diritto dell’Unione europea (che infatti, a febbraio scorso, ha avviato una procedura d’infrazione contro l’Italia).
In altri tre casi i giudici hanno respinto obiezioni simili ma intanto la questione sollevata dal legale della principale imputata fa bloccare il processo abbreviato, che avrebbe dovuto già concludersi lunedì. Invece l’udienza è stata rinviata al 1° marzo, quando il giudice dovrebbe prendere una decisione e stabilire se il processo potrà andare avanti.
Ad attendere il verdetto è soprattutto Valentina Rosita Grande, 37enne di San Francesco al Campo: secondo il pubblico ministero Giovanni Caspani e la procuratrice Enrica Gabetta, c’era lei al vertice di una «organizzata filiera illecita» che assegnava i redditi di cittadinanza agli stranieri che non ne avevano diritto. Tutte persone che si spacciavano per senza fissa dimora e beneficiari di protezione internazionale, per questo risultavano residenti nella Casa comunale. Solo a Torino, dai Caf dove gravitavano gli indagati, in via Fratel Teodoreto e in via Marchese Visconti, ne avrebbero beneficiato indebitamente in 314. Ma l’inchiesta, svolta dal primo nucleo operativo metropolitano della Guardia di finanza di Torino, parlava di 3mila pratiche sospette. E per la prima volta in un caso del genere la procura contesta tra i reati anche la “corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio”. Perché l’indagata si sarebbe fatta pagare per rilasciare le pratiche agli stranieri: Lei, interrogata, ha negato: «Pagavano solo la tessera del patronato». Agli atti ci sono le dichiarazioni di vari testimoni che hanno parlato di «versamenti di 25 euro per ogni pratica». Peccato che la normativa non preveda alcun compenso né tesseramento al Caf che si occupa dei redditi di cittadinanza. L’ammontare della maxi truffa, secondo le prime indagini delle Fiamme gialle, sfiora 1,4 milioni di euro.
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