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Il controcanto
17 Gennaio 2024 - 07:00
Il luogo dove è stata lanciata la bicicletta e Mauro Glorioso
Dopo aver svolto egregiamente il proprio compito di facilitatrici mediatiche della vendita di Fiat-FCA ai francesi, accelerando la progressiva deindustrializzazione dell’Italia e conseguente desertificazione industriale di Torino, per conto del padrone Elkann (copyright di Carlo Calenda, già ministro dell’Industria), sembrerebbe da notizie di stampa che, dopo la vendita dei giornali locali, anche La Repubblica e La Stampa siano state poste sul mercato. Ora che l’industria automobilistica in Italia è stata pressoché cancellata i due quotidiani sembrerebbe si stiano ritagliando un ruolo più marcatamente politico. Non tanto e non solo come quotidiani dell’opposizione, ma come soggetti politici veri e propri che, travalicando anche il ruolo dei partiti o di quel che ne resta, tentano di imporre, in nome di non si sa quale legittimazione, l’agenda alle forze politiche e allo stesso governo. Tutto, nei suddetti quotidiani, viene piegato in nome dell’ideologia, compresa la cronaca nera e bianca. Scomparsi ormai i vecchi santoni dell’azionismo subalpino Bobbio e Galante Garrone e il santone romano Eugenio Scalfari, i nuovi cavalieri bianchi del giornalismo italiano hanno abbracciato acriticamente l’ideologia dei “diritti”, quelli individuali, quelli delle minoranze, della “cancel culture”, della pseudocultura “woke” e ne sono diventati i maggiori propagandisti in Italia.
POLIZIA E CARABINIERI AI MURAZZI
In ciò alleandosi e facendosi portavoce di fatto di un blocco sociale benestante, di borghesia perlopiù statale: professori universitari, magistrati, alti burocrati, impiegati pubblici, sindacalisti e politici di mestiere, professionisti che operano con enti locali e partecipate, ecc. Questa tendenza ad utilizzare l’informazione per perseguire, ad ogni costo e con qualsiasi mezzo, anche sacrificando l’elementare principio dell’obbiettività risulta in forma particolarmente odiosa in un editoriale, peraltro scritto in un italiano a corrente alternata, pubblicato in prima pagina dal direttore de La Stampa, Andrea Malaguti.
Intitolato “Noi e il dolore”, l’articolo strumentalizza un tragico episodio avvenuto a Torino: quello di alcuni giovani, che sarebbe riduttivo definire teppisti che, scaraventando una pesante bicicletta elettrica da una balaustra soprastante i Murazzi, hanno provocato una totale e irreversibile paralisi al ventitreenne Mauro Glorioso. Malaguti arriva incredibilmente ad associare questo atto criminale ai saluti romani effettuati al grido di “Presente!” da qualche centinaio di persone alla commemorazione di tre giovanissimi ragazzi assassinati a Roma negli anni ’70 da terroristi comunisti, tuttora impuniti. Come? Semplice. Lui, scrive, ha pensato al giovane paralizzato quando ha guardato “l’inquietante parata di camerati a braccia tese ad Acca Larentia, gente truce, tutti maschi con l’odio in tasca”. Non uomini, donne, giovani, anziani che piangevano ragazzi minorenni crudelmente trucidati per odio, ma “tutti pronti a picchiare qualcuno... il fascismo eterno di cui parla Umberto Eco”.
VEDUTA DEI MURAZZI
Ma eccellentissimo signor direttore, è fascismo anche quando altri delinquenti, questa volta a Milano, hanno teso un filo d’acciaio in mezzo alla strada (“per noia” a loro dire), senza provocare vittime solo perché un passante li ha visti e ha dato l’allarme? È sempre fascismo quando altri malviventi hanno buttato sassi dai cavalcavia, uccidendo almeno una volta, per vedere l’effetto che fa. “Noi e il dolore. Le nostre azioni hanno delle conseguenze” sdottoreggia ancora l’articolo. Una frase da fiera delle ovvietà perché non c’è bisogno di questi cattivi maestri 2.0 per sapere che migliaia, forse milioni, sono le persone che convivono, o sopravvivono solo, con il dolore. Qualcuno non ce la fa. Il dolore non si vede, si sente. È sottotraccia ed estremamente diffuso, più di quanto si pensi. Ma l’esibizione della sofferenza o, peggio. l’utilizzo del dolore, specialmente quello degli altri, è pornografia. Ma ancora più pornografico è passare, con artifizi dialettici, da una riflessione sul dolore all’odio ideologico propinato a piene mani. Chi fa finta di avere una pietas per il dolore altrui, dovrebbe lavorare per la pacificazione delle generazioni che si sono combattute in una sorta di guerra civile negli anni settanta del secolo scorso. Invece il nostro cavaliere bianco, citando nel suo pezzo un Umberto Eco senile, sparge astio a piene mani sulle persone che ad Acca Larentia o nel loro cuore hanno commemorato, con la innocua cerimonia del Presente, tre ragazzini vilmente macellati da, quella sì, “gente truce con l’odio in tasca”. Gente comunista, signor giornalista. Si dovrebbe invece parlare, come oggi ha il coraggio di dire con umanità Giampiero Mughini, allora direttore niente di meno che di “Lotta continua”, delle tre giovanissime vittime del MSI e dei loro assassini tuttora liberi e impuniti.
MAURO GLORIOSO, 23 ANNI E IL LUOGO DOVE E' STATA LANCIATA LA BICICLETTA
Invece no! I giornalisti come il “nostro”, specialisti della peggior retorica del dolore, sono solo interessati agli inoffensivi saluti romani, incuranti della sofferenza degli amici e parenti delle vittime di allora, di destra come di sinistra. Uno strazio senza fine, derivante da un macabro scontro che stracciò le vite di centinaia di persone che editoriali di tal fatta non sopiscono ma, di fatto, irresponsabilmente rinfocolano. E, sempre per associazione di idee e per tematizzazioni, qualcuno comincia a chiedersi: com’è che la continua propaganda dell’intolleranza, della cieca faziosità, il finto richiamo ai valori della libertà mentre si semina fanatico settarismo, ha prodotto una società che alleva mostri che tirano macigni dai cavalcavia e biciclette addosso a indifesi passanti? La straziante cronaca della quotidianità del povero Mauro Glorioso a cui è stata gettata addosso una bicicletta che di fatto è diventata una croce, prima ben infusa e oliata dal presunto balsamo dell’antifascismo, è un detestabile “capolavoro” di rappresentazione e descrizione del dolore. Un capolavoro deplorevole, di cui un giornalista degno di questo appellativo dovrebbe profondamente vergognarsi. Sì, È proprio vero: le nostre azioni dovrebbero avere delle conseguenze!
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