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Economia

Fiat in mani francesi : cronaca di un’ industria tradita

Come l’Italia ha perso il controllo della sua industria automobilistica

Stellantis

Operai al lavoro a Mirafiori

L'industria automobilistica italiana, un tempo simbolo di innovazione ed eccellenza, oggi si trova a un bivio storico, segnato da decisioni strategiche che ne hanno profondamente alterato il corso. Al centro di questa trasformazione c'è la vendita da parte degli Elkann di Fiat-FCA che ha portato il controllo del colosso automobilistico nazionale nelle mani del gruppo francese Psg-Citroen, segnando così l'inizio di un nuovo capitolo sotto il nome di Stellantis. Questa mossa ha simboleggiato non solo la perdita di un campione dell'industria italiana ma ha anche illuminato una condizione che sta alla radice della vulnerabilità dell’industria automobilistica in Italia: la concentrazione industriale che ha visto Fiat assorbire, nel corso degli anni, tutti gli altri fabbricanti nazionali di auto come Lancia, Innocenti, Ferrari, Abarth, Autobianchi, Alfa Romeo, scippata alla Ford poco prima del closed, con l’aiuto della politica di allora. Gli altri grandi paesi europei avevano da sempre, ed hanno, come la Francia e la Germania, più aziende automobilistiche. Perfino la Spagna , la cui industria dell’auto è nata da una costola della Fiat, oggi produce 2,5 milioni di veicoli con diversi produttori.

La storia dell'automobilismo italiano è stata, per lungo tempo, una storia di unicità e di monopolio, dove Fiat rappresentava il cuore pulsante e l'unica vera protagonista di questo settore. Questa centralità ha avuto ripercussioni significative sul tessuto industriale ed economico del paese, lasciandolo esposto a decisioni che trascendono i confini e gli interessi nazionali, come dimostra l'esito dei contatti dell’esecutivo con il gruppo francese. Il governo italiano, oggi più che mai, si trova davanti a una sfida cruciale: rilanciare l'industria automobilistica nazionale attirando nuovi investimenti, possibilmente da grandi player internazionali, auspicabilmente asiatici. Tuttavia, questa strategia si scontra con l'opposizione di Carlos Tavares, CEO di Stellantis, il quale, conscio del peso strategico e industriale che Stellantis detiene a livello globale, non vede di buon occhio l'introduzione di nuovi concorrenti sul suolo italiano.

La strategia di Stellantis è quella di perpetuare la vecchia condizione di unico fabbricante in Italia e a questo fine mette in atto politiche “diplomatiche”, come inviare “in visita” al Presidente Mattarella l’ingegner John Elkann evitando diligentemente la visita alla Presidente del Consiglio, perché ha capito che dalle parti di palazzo Chigi “non è aria”, come si suol dire. Insomma viene messo in atto un vecchio e trito rituale quello dell’avvocato Agnelli che presentava l’ultima nata di casa Fiat alle massime autorità dello stato. Erano altri tempi, altre situazioni, ma soprattutto altri uomini. L’azione di Stellantis, nella sua politica di disimpegno fiscale e industriale dall’Italia, ha potuto contare e conta se non sull’appoggio almeno sull’acquiescenza dei giornali della galassia Gedi della famiglia Elkann e su quello che la vulgata continua ancora a chiamare il partito trasversale della Fiat (oggi sarebbe più corretto di Stellantis) composto da politici, sindacalisti, banchieri, burocrati, giornalisti e manutengoli vari.

L'intreccio tra interessi economici, politiche industriali e strategie globali rispecchia una realtà complessa in cui i governi passati, per anni disinteressati o troppo passivi di fronte alle manovre degli Agnelli-Elkann, alle dinamiche di mercato e alle sue potenzialità strategiche, fanno pagare oggi ai dipendenti di Mirafiori e agli italiani tutti il prezzo di tale inerzia. La vendita di Fiat e la nascita di Stellantis hanno messo in luce non solo il declino di un simbolo nazionale ma anche la fragilità di un sistema che ha sempre puntato su un unico grande costruttore, senza promuovere una diversificazione industriale che avrebbe potuto proteggere e stimolare l'economia italiana in modo più resiliente e dinamico. Di fronte a queste sfide, l'Italia sembra ora determinata a ribaltare la situazione, cercando di negoziare e aprire il mercato a nuovi investitori. La recente "pace armata" tra Stellantis e il governo italiano potrebbe rappresentare un primo passo verso un dialogo costruttivo, ma resta da vedere se questo sarà sufficiente per rilanciare un settore chiave dell'economia italiana e per ritrovare quella capacità innovativa e produttiva che ha fatto della Fiat un gigante dell'automobilismo mondiale.

Stellantis, per adesso solo a parole, ha promesso, per bocca di Tavares, la produzione di un milione di auto negli stabilimenti italian, che sarebbe la quota minima vitale per mantenere in Italia l’industria automobilistica, ma la parola di questi signori, come ci hanno dimostrato più volte, vale veramente poco. Occorrerà verificare quali sono le loro reali intenzioni. L'industria automobilistica italiana, oltre ad essere strategica per gli interessi nazionali, ha sempre apportato all’economia italiana molti punti di PIL. I contribuenti italiani, da parte loro, hanno finanziato, direttamente o indirettamente, tale industria con la iperbolica cifra di oltre 220 miliardi di euro. E’ essenziale, per il governo Meloni, affrontare questa sfida globale con la ricerca di nuovi alleati e la necessità di preservare un patrimonio industriale che ha segnato la storia del paese. La strada da percorrere è  lunga e incerta, ma l'impegno e la visione strategica saranno fondamentali per definire il prossimo capitolo di questa avventura industriale e tecnologica.  Affrontare il protezionismo implicito che ha caratterizzato decenni di politiche industriali, denunciando gli errori del passato e aprendosi a nuove opportunità, è forse l'unico modo per riscrivere un capitolo nuovo dell' automotive in Italia.

 

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