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INTIFADA SOTTO LA MOLE
25 Maggio 2024 - 19:26
Manifestazione al Salone del Libro
L’atrio di Palazzo Nuovo trasformato in una “moschea”, con le scarpe affiancate ai tappetini da preghiera, le litanie che si alternano agli inchini di sottomissione mentre si prega per la Palestina. Uno “shock” per il mondo accademico a partire dal Miur e dalla ministra Bernini che ha portato il Rettore del Politecnico, Stefano Corgnati, a chiedere una diffida della Questura per Ibrahim Baya. Diventato “capopolo” contro Israele e che, per due volte la scorsa settimana, si è improvvisato anche “imam” per condurre la preghiera per l’Intifada all’Università, annunciando che si sarebbe presentato venerdì anche in corso Duca degli Abruzzi. E, in serata, il Rettore di UniTo, Stefano Geuna, ha stigmatizzato l’intervento di Baya a Palazzo Nuovo. «Le parole di violenza pronunciate da Brahim Baya durante il sermone tenuto a Palazzo Nuovo occupato non si conciliano con un’idea di Università come luogo democratico di scambio e confronto. Al contrario, affermano valori che sono in contrasto con l’idea della pace e della convivenza tra i popoli» spiegano da UniTo ribadendo «la ferma condanna per quanto è accaduto negli spazi autogestiti dagli occupanti con profondo rammarico per un’iniziativa che contraddice i principi fondamentali della laicità e del pluralismo nelle istituzioni».
«Qui non pregate»
Appuntamento saltato perché, proprio ieri, i vertici dell’ateneo, coordinandosi con il Ministero dell’Università, hanno subito presentato una richiesta d’aiuto a Questore e Prefetto. Chiedendo di impedire a Baya di svolgere funzioni e attività religiose mentre il diretto interessato dal provvedimento, attorno all’ora di pranzo e appena uscito dall’Aula Magna del Politecnico insieme con gli studenti del collettivo Pro Palestina, ha subito smentito il proprio ruolo religioso. «Non sono un imam». Vero, dal momento che sulla carta sarebbe nientemeno che il responsabile del Centro culturale Taiba, ovvero, la moschea di via Chivasso in Barriera di Milano. Eppure, le preghiere nell’università occupata in questi giorni le ha sempre guidate lui e alla faccia di chi continua a sostenere «l’autenticità delle guide religiose» come da mesi, ormai, chiede chi è preoccupato da una pericolosa contingenza con il terrorismo islamista.
Imam per un giorno
Ma Baya, laureatosi proprio a Torino, continua a parlare di «libertà religiosa» appellandosi addirittura alla Costituzione che, secondo lui, non conterrebbe alcun riferimento alla laicità delle istituzioni. «La parola laicità non è contenuta nella Costituzione. In Italia la laicità è preceduta dalla libertà religiosa» tuona Baya rivendicando quasi come un diritto la “suaa religione” nelle scuole se non nelle accademie. «Nelle scuole non c’è una stanza del silenzio, noi non abbiamo un luogo dove pregare» lamenta il portavoce della Moschea Taiba, scaricando le responsabilità sugli studenti. «Volevano loro le preghiere» puntualizza quello che per tutti è diventato “imam per un giorno”, prendendo la parola per oltre un’ora per un sermone che in italiano e in arabo definiva la Palestina come «la Terra Benedetta presa di mira dagli invasori, colonizzatori, arroganti». Per concludere esaltando il popolo palestinese come «gente che resistito di fronte a questa furia genocida, uscita dalle peggiori barbarie della storia».
E ora arrivano i “vip”
Nonostante le polemiche, però, la mobilitazione non si ferma. E tra tanti strenui difensori della lacità, per lunedì prossimo, viene annunciato l’arrivo anche dello scienziato Piergiorgio Odifreddi che, smessi i panni di anticlericale, pare abbia deciso di occuparsi anche di geopolitica. Ghiotta, infatti, l’occasione di presentare il suo ultimo libro “C'è del marcio in Occidente”. Sempre che non arrivi un'altra diffida, ovviamente. Dal canto suo, invece, Baya non smette di fare avanti e indietro tra Politecnico, Campus Einaudi e Palazzo Nuovo dopo che, lo scorso 11 maggio, si è presentato all’ingresso del Lingotto a sostegno delle manifestazioni con la bandiera della Palestina contro il Salone del Libro. «La bandiera della vittoria sventola alta su questo Salone» ha esclamato Baya poco prima che venissero divelte le cancellate e cominciasse l’aggressione alle forze dell’ordine. Nei giorni a seguire il suo “account” di Instagram è ricco di filmati, alcuni girati proprio al Salone, in cui chiede al giornalista Pablo Trincia pareri sul «silenzio del Salone di fronte al genocidio». Il lunedì successivo eccolo a riprendere con il suo cellulare l'inizio dell'Intifada. Tende da campeggio sotto la Mole, bandiere e striscioni. Pochi giorni dopo la sua Moschea Taiba, inoltre, ha accolto i bimbi delle scuole elementari per un laboratorio in cui è stato mostrato loro un video che esalta «una fede da testimoniare e un'etica da rispettare». Quella dell’Islam. Non fosse, poi, che proprio il Centro Taiba in queste settimane si è occupato anche di sfamare gli “acampandos” preparando pranzi e cene da distribuire agli occupanti. «Io sono con gli studenti» afferma Baya definendo l’Italia «un Paese islamofobo, in cui veniamo attaccati appena usciamo dagli scantinati in cui preghiamo».
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