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il retroscena
29 Maggio 2024 - 08:47
Quando i poliziotti l’avevano arrestato per la prima volta, nel 2015 irrompendo nella sua casa di Lanzo in vicolo delle Coste, Halili Elmahdi li aveva accolti così: «Tiranni, vado in galera nel nome di Allah». E per anni, nelle valli dove viveva, il 29enne aveva sempre fatto proseliti in nome dello Stato islamico, tanto da guadagnarsi il soprannome di “filosofo dell’Isis”. Lo faceva in quel luogo dove Daesh (il nome arabo dell’Isis) recluta seguaci per combattere la Jihad: il web. Non solo, Halili Elmahdi aveva scritto anche “Lo Stato islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare”, ritenuto il primo documento organico, in italiano, di propaganda della ideologia estremistica musulmana fatta propria dall'Isis. Ma se nel 2015 il “filosofo” era accusato solo di apologia, quando l’hanno arrestato la seconda volta nel 2018 i poliziotti hanno avuto la certezza che si fosse incontrato davvero con altre persone per assoldarle nell’Isis, oltre che con altri “foreign fighters” per pianificare azioni terroristiche. «Se loro gettano bombe, anche noi getteremo bombe», scriveva su un messaggio sequestrato dagli investigatori. Che avevano il sospetto che Elmahdi volesse colpire obiettivi religiosi. Quando è finito in carcere, la famiglia di lui non ne ha più voluto sapere. «Mio figlio ha disonorato la famiglia, ma anche l’Islam», raccontava papà Mohamed. Aggiungendo poi che «il computer era la sua droga, non si staccava mai da quello schermo». «Noi abbiamo una vita normale, non c’entriamo nulla con quello che fa mio fratello», le parole di Mariam, la sorella. Mentre il parroco raccontava che «Halili giocava a pallone nell’oratorio con gli altri ragazzi, poi un giorno non si è più fatto vivo».
Il pallone, infatti, a Halili Elmahdi interessava poco. Meglio fare proseliti per Daesh. Torture, esecuzioni di massa, uomini che vengono decapitati da guerriglieri bambini, le immagini di un pilota giordano chiuso in una gabbia di ferro e poi bruciato vivo. E ancora, i proclami del “Califfo” Abu Bakr al-Baghdadi. Tutto questo materiale avevano trovato gli investigatori. Post e video che il “filosofo” veicolava su Telegram, su Canale Omar o su siti come jihadology.net e jihadwatch.org. In aula, durante le udienze che lo hanno visto imputato, si difendeva così: «Ho visualizzato centinaia di contenuti, ma di tutte le fazioni, non solo quelle dello Stato islamico». E ancora: «Non sono un terrorista, non mi sono mai proposto per un attentato e non ho mai cercato persone da mandare in Siria». Insomma, quando era sottoposto a interrogatorio, il 29enne ha sempre negato tutto.
Eppure non era così, almeno a giudicare anche dal suo periodo in carcere. «Il detenuto dimostra nette convinzioni religiose ancorate alla propaganda deviante di tipo estremista rispetto ai precetti religiosi del Corano», scrivevano nelle relazioni gli agenti della penitenziaria delle Vallette. «Si manifestava un orgoglioso appartenente all’Isis cercando di incutere timore. Prega anche durante la notte e passa le sue giornate studiando il Corano», annotavano i poliziotti di guardia alla Casa circondariale di Sassari. E una volta scarcerato, i comportamenti di Halili Elmahdi non miglioravano, anzi. Ha preso a pugni suo padre mentre quest’ultimo entrava in una macelleria, poi ha aggredito l’imam della Moschea di via La Salle apostrofandolo come «ipocrita». Aggrediti anche due poliziotti, a Parco Dora, dove il 29enne dormiva su una panchina. E una volta, ad essere picchiati sono stati pure padre e figlio di una tipografia di Borgo Vittoria, in via Noè, entrambi presi a pugni sul volto perché si erano “rifiutati” di fare per lui una ricerca di nominativi su internet.
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