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Il caso
29 Maggio 2024 - 17:33
Centinaia di pagine di intercettazioni e impronte digitali sulla relazione del blitz e su due bossoli trovati insieme agli occhiali, alla penna e ai documenti di Giovanni D’Alfonso, il carabiniere ucciso nel conflitto a fuoco con le Brigate Rosse. E' in quei documenti e in quegli oggetti la verità su quanto successo il 5 giugno 1975 a Cascina Spiotta, vicino ad Alessandria? Una prima risposta, forse, arriverà a distanza di quasi mezzo secolo, il 26 settembre 2024. Quando si celebrerà l'udienza preliminare a carico dei presunti responsabili di quella sparatoria. Cioè quattro ex membri delle Brigate Rosse: Lauro Azzolini, Renato Curcio, Pierluigi Zuffada e Mario Moretti (che ha confessato l’omicidio di Aldo Moro nel 1978).
Il sequestro Gancia
Le indagini si sono concentrate sui responsabili del sequestro dell’imprenditore Vittorio Vallarino Gancia, avvenuto il 4 giugno 1975 ad opera delle Brigate Rosse, e dello scontro a fuoco della mattina dopo. Nella sparatoria, oltre all’appuntato, perse la vita la moglie di Curcio, Margherita “Mara” Cagol, e vennero gravemente feriti il tenente Umberto Rocca e il maresciallo Rosario Cattafi.
Dopo il conflitto, uno dei sequestratori riuscì ad allontanarsi ed ogni tentativo di identificarlo è stato vano. Sarà la volta buona dopo quasi 50 anni? Negli atti, firmati dal procuratore aggiunto Emilio Gatti, vengono ricostruiti i ruoli dei quattro indagati: all’epoca Curcio e Moretti, insieme a Cagol, erano i componenti del comitato esecutivo delle Br. E vengono accusati dell’omicidio in quanto mandanti del sequestro di Vallarino Gancia, effettuato da Cagol, Azzolini, Zuffada e altri terroristi mai identificati.
Moretti e Curcio rispondono anche del successivo conflitto a fuoco, visto che avevano dato un ordine preciso ai sequestratori: “Se avvistate il nemico vi sganciate prima del suo arrivo, se venite colti di sorpresa ingaggiate un conflitto per rompere l’accerchiamento” (come si legge nel Giornale delle Brigate Rosse trovato addosso a Giovanni Battista Miagostovich, membro delle Br arrestato il 20 ottobre ‘75).
«Non è il caso che commenti» si trattiene l’81enne Curcio quando è arrivato la notifica della chiusura indagini ed è stato contattato al telefono da TorinoCronaca. L’ex terrorista, uno dei fondatori delle Br, ringrazia con voce dimessa e mette giù il telefono. E’ più loquace il suo avvocato, Vainer Burani: «E' già abbastanza sconcertante che si celebri un'udienza preliminare per un fatto di cinquant'anni fa. Dalle stesse carte del procedimento, poi, non emerge nulla di nuovo rispetto a quanto già emerso in passato». Prosegue il legale: «Il mio assistito ripeterà ciò che ha sempre detto: non ha partecipato all'organizzazione del sequestro dell'imprenditore Gancia. Anzi, ne è completamente estraneo, perché all'epoca, essendo evaso da poco, viveva nascosto».
Il mancato arresto di Azzolini
Il principale dubbio della sparatoria, che dura da 50 anni, è su chi sia l’assassino materiale di D’Alfonso. Cioè il brigatista che è scappato dopo il conflitto a fuoco con i carabinieri: secondo la Procura di Torino, che può contare anche su sue intercettazioni ambientali recentissime, è Lauro Azzolini, che a settembre compirà 80 anni. E che, quel giorno a Cascina Spiotta, sparò con la pistola e lanciò tre bombe a mano contro i carabinieri.
Già prosciolto per lo stesso fatto dal tribunale di Alessandria il 3 novembre 1987, Azzolini avrebbe fatto delle rivelazioni nelle telefonate intercettate dai carabinieri del Ros. Forse è per questo che la Procura di Torino ha chiesto due volte di arrestarlo nell'ultimo anno, temendo il pericolo di fuga dell'80enne ex brigatista. Ma la richiesta è stata respinta due volte dal giudice per le indagini preliminari.
Emerge dalla memoria inviata al giudice Ombretta Vanini dall'avvocato di Azzolini, Davide Steccanella, subito dopo la fissazione dell'udienza preliminare. «Il 13 luglio 2023 il gip definisce espressamente carente dal punto di vista indiziario il materiale raccolto dalla Procura» riporta il legale. Nel respingere la richiesta, il giudice sembra mettere in dubbio anche gli esiti degli accertamenti che i Ris hanno effettuato sulle impronte di Azzolini, trovate sul dattiloscritto recuperato in occasione dell'arresto di Curcio del 1976. «Considerato che si tratta di un documento rinvenuto ben sei mesi dopo i fatti, non pare di per sé sufficiente a delineare la gravità indiziaria, dovendo essere corroborato da ulteriori e specifici e concreti riscontri che confermino l'ipotesi accusatoria».
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