Cerca

TRA BIMBI E FAMIGLIE

«Amare è diritto di tutti, scendiamo nelle piazze perché ancora oggi è un tabù»

Il volto più colorato del Pride, il più accogliente dove anche i disabili non si sentono discriminati e non nascondono il proprio orgoglio in corteo: «Il sesso? È solo l’ultima preoccupazione al giorno d’oggi»

«Amare è diritto di tutti, scendiamo nelle piazze perché ancora oggi è un tabù»

Sono passati cinquant’anni da Stonewall ma «ma c’è ancora tanto c’è da fare» attacca il coordinatore del Torino Pride, Luca Minici, dal palco di piazza Vittorio Veneto, approdo del corteo partito che ha attraversato il cuore della città sotto la bandiera dei diritti civili. Un corteo colorato. «D’amore e di lotta» come recita lo “slogan” dell’evento. La lotta di chi, ancora oggi, si sente «escluso dalla società» come Valentina, una giovane con disabilità e “queer” che racconta della «desessualizzazione» di cui denuncia d’essere vittima ogni giorno per via di «un abilismo interiorizzato». Secondo Valentina, infatti, «avere una disabilità non significa essere asessuali». Come Peter che, all’anagrafe, risponde ancora al nome di Marta, benché non si “autodetermini” come persona “non binaria”. Insomma, il corpo con cui è nato non è quello in cui si sente a suo agio. Il sesso, però, a Peter, non interessa. «Non ho istinti sessuali né verso le donne né verso gli uomini. Ma non sono un anormale. Vivo, respiro, mangio e dormo come chiunque altro».

Una lotta intersezionale, quella che coinvolge diversi movimenti. Come quello delle Famiglie Arcobaleno. Genitori non biologici che si vedono negare la possibilità di riconoscere i figli che crescono o la possibilità di adottare in Italia come fanno le coppie etero. E ancora la rabbia di Ismaele, stanco di dovere specificare che la fede cristiana e l’omosessualità siano incompatibili tra loro. Fabio invece rivendica l’orgoglio omosessuale nelle rappresentazioni cinematografiche: se il cinema è cultura, in Italia i ruoli dove i personaggi sono gay o lesbiche spesso hanno caratteristiche negative, caratterizzati spesso da instabilità mentali o disegnati per essere i “deboli” della storia. «Quasi mai protagonisti». Ecco perché il Pride per loro è così importante. Un giorno all’anno sicuramente il protagonismo è assicurato. Secondo gli organizzatori questo Pride torinese contava 150mila partecipanti. Lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer, intersessuali e asessuali. Più tutti coloro che non si identificano in un solo termine. Il famoso acronimo che sembra uno scioglilingua.

Un dizionario moderno fatto di parole e sigle, una piccola enciclopedia di storia dei fatti che, a dirla onestamente, non tutti i presenti alla sfilata conoscevano: «Pride? Vuol dire essere orgogliosi di dire chi si è» spiega ai microfoni uno dei partecipanti in “glitter”. «L’orgoglio di essere comunità e non doversi più nascondere. Un momento in cui si condivide la possibilità di essere completamente liberi» aggiunge Daniele, sventagliando l'arcobaleno dei colori del Pride per farsi un po' di aria nell’afa di una giornata che annunciava soltanto pioggia. Meno decisione quando chiediamo come e quando nasce il movimento. «Trent’anni fa?» ci rispondono dubbiosi in molti.

Così, se tutti condividono sicuramente gli ideali e le battaglie, molti meno sono a conoscenza delle sue origini. «Partecipo e ne condivido le rivendicazioni, sono d'accordissimo. Ma non mi sono mai informata» ammette un’altra signora, visibilmente imbarazzata. Lo smarrimento maggiore lo registriamo quando chiediamo il significato dell’acronimo Lgbtqai+. In particolare sulla parte finale della sigla, quella che definisce persone intersessuali ed asessuali. «E che vuol dire intersessuali?» ci chiedono candidamente alcuni dei nostri interlocutori meno ferrati. Al contrario, chi si dice ferratissimo, al di là delle definizioni e degli acronimi, prova a lanciare un messaggio. «Oltre a una serie di lettere siamo semplicemente una comunità. Che indipendentemente dall'orientamento sessuale, da quello che è il proprio corpo, si vuole bene». La riflessione di un giovanissimo militante al corteo. Sì, perché al Pride ci vanno praticamente tutti: bambini e famiglie compresi.

«Ci porto mia figlia per educarla ad essere una persona migliore» sottolinea Rebecca che tiene la mano a sua figlia Isabella. La bambina è attratta da alcune figure che stanno danzando a pochi metri da lei. Perché se la maggior parte dei carri mostra colore e allegria, verso la “coda” del corteo la situazione è ben diversa. Da un carnevale si passa rapidamente a una scenografia “bondage” simile ad un videoclip di Marilyn Manson nei suo anni migliori. La bandiera arcobaleno è l’unica punta di colore, perché da queste parti sono tutti vestiti di nero e latex. Un uomo è al guinzaglio di una donna, un’altra agita una frusta contro il suo “chiavo”. «È vero, c’è anche questo» dicono. «Ma è un’altra storia».

Per approfondire leggi anche:

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Logo Federazione Italiana Liberi Editori L'associazione aderisce all'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria - IAP vincolando tutti i suoi Associati al rispetto del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e delle decisioni del Giurì e de Comitato di Controllo.