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L'inchiesta
29 Giugno 2024 - 05:50
Foto di repertorio
A una delle vittime ha detto «Dammi tutto quello che hai», minacciando di picchiarlo. Con un altro è stato ancora più incisivo: «Se gridi e fai resistenza, ti ammazzo». E sono subito arrivate botte e spintoni: così Amin Safi, 20 anni ad agosto, era diventato il terrore dei suoi coetanei che giravano per la zona di via Nizza e via Sacchi, attorno a Porta Nuova. Lui e la sua banda assalivano altri ragazzi per prendere soldi e telefoni, arrivando a sequestrare i loro bersagli e costringerli a prelevare al bancomat. Fino a quando la polizia ferroviaria è riuscita a identificare almeno lui e il suo complice Achraf Bousif, già denunciato per aver scassinato l’Old Wild West della stazione, portandosi via l’intero registratore di cassa.
Ora Bousif risulta irreperibile, probabilmente è scappato in Francia dopo essere stato intercettato per l’ultima volta alla frontiera a Domodossola. Invece Safi, difeso dall’avvocato Alberto Bosio, è finito in carcere e l’altro giorno ha patteggiato una condanna a 4 anni e 9 mesi di carcere.
«So dove abiti»
Gli episodi contestati sono avvenuti tutti fra novembre e dicembre, in piena notte, nella zona attorno alla stazione. La strategia della banda di rapinatori era sempre la stessa: sceglievano loro coetanei rimasti soli, li avvicinavano e li minacciavano, facendo capire che erano armati. Bastavano quasi sempre poche parole: «Non mi far chiamare l’amico mio che è appena uscito di galera per omicidio». Oppure «ringrazia che lui non sa parlare italiano altrimenti eri già per terra sanguinante». O ancora: «Non fare denuncia, sappiamo dove abiti».
Così riuscivano a prendere tutto quello che le loro vittime avevano in tasca, oltre a cellulari, auricolari, orologi e giubbotti di marca Moncler. Quindi trascinavano i ragazzi al bancomat più vicino e li costringevano a prelevare tutto ciò che avevano: in un caso hanno usato il cellulare del rapinato per comprare un iPhone da 1.400 euro, andando poi a ritirarlo direttamente nel negozio Unieuro. Un giovane torinese è stato costretto a seguire Safi e la sua banda per sei ore.
Caccia ai rapinatori
Le vittime hanno vinto la paura e hanno sporto denuncia alla polizia ferroviaria, competente per la zona attorno alla stazione di Porta Nuova. Così, grazie a descrizioni e telecamere, gli agenti sono riusciti a rintracciare due membri della banda di marocchini. Safi era imputato di rapina, minacce, sequestro di persona, utilizzo indebito di carte di credito e accesso abusivo a sistema informatico: lui e l’avvocato Bosio hanno scelto di patteggiare la pena, ottenendo il via libera dal pubblico ministero che ha coordinato l’indagine, Valentina Sellaroli, e la conferma da parte del giudice.
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