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Il caso
13 Luglio 2024 - 16:25
Una sentenza della Corte d'Appello di Torino sta facendo discutere mezza Italia. E ha già scatenato la polemica politica, con la senatrice Paola Ambrogio che chiede al ministro Carlo Nordio di inviare gli ispettori in tribunale. Colpa delle motivazioni con cui i giudici hanno assolto due genitori che vivono in un campo rom con le loro due figlie, che sarebbero state maltrattate e prese a botte.
La sentenza ha ribaltato quella di primo grado, dove la madre 44enne e il padre 54enne sono stati condannati a 2 anni e 6 mesi di carcere. Tra le motivazioni che hanno portato all'assoluzione c'è il contesto di degrado in cui vive la famiglia, espresse anche attraverso la deposizione di un neuropsichiatra infantile: «Il clima di violenza mi sembrava accettato come un dato di fatto ma sono bambini che vivevano in un campo rom, dove la violenza è un connotato». In pratica, le botte sono normali in quel contesto e quindi i genitori non sono colpevoli: «Quanto alle percosse inflitte, le peculiari condizioni del contesto familiare fanno insorgere notevoli dubbi sulla coscienza e la volontà di sottoporre le figlie a qualsivoglia forma di maltrattamento - si legge nelle motivazioni - Piuttosto, da una parte, il sostanziale riferimento monogenitoriale delle minori - di fatto seguite e curate dalla sola madre (sovente percossa dal marito) - e le inevitabili conseguenti maggiori difficoltà nella guida e nella educazione delle stesse minori, e, dall'altra parte, le oggettive difficoltà dovute all'elevato numero di figli in tenera età e alla relativa fisiologica esuberanza, integrano fattori» che hanno fatto decidere per l'assoluzione. In sostanza dal quadro sarebbe emerso che alcuni fattori «suggeriscono che gli imputati - al bisogno - considerassero il metodo delle percosse (schiaffi e "sculacciate") quale unico strumento disponibile per garantire ordine e disciplina in seno alla famiglia e/o nei rapporti tra le bambine». Viene inoltre rilevato come madre e padre «sapevano assumere (e assumevano) anche quel ruolo di amorevoli genitori che, in quanto tale, non appare compatibile con la consapevolezza e l'intenzione di sottoporre le proprie figlie a un regime di vessazione e di sofferenza morale».
L'assessore regionale alle Politiche sociali, delle famiglie e dei bambini, Maurizio Marrone, ritiene «semplicemente inaccettabile la resa istituzionale alla violenza insita nello stile di vita nomade, con il rischio di ufficializzare l’impunità di chi picchia, maltratta e delinque nei campi rom. A prescindere da questa sentenza di assoluzione e nel rispetto dei ruoli e della magistratura, emaneremo presto indirizzi vincolanti per i servizi sociali mirati a salvare i bambini dai maltrattamenti della vita da campo e da un destino altrimenti ineluttabile di violenza, degrado e criminalità». Si aggiunge Paola Ambrogio, senatrice di Fratelli d'Italia e componente della Commissione infanzia e adolescenza: «È una sentenza aberrante e paradossale, chiedo formalmente che il ministro della Giustizia mandi gli ispettori. È un fatto gravissimo e un precedente pericolosissimo: da un lato si certifica che i campi rom sono un contesto in cui la violenza è all'ordine del giorno, dall'altro si sdogana la violenza contro donne e bambini proprio perché in quel contesto è normale». Per la senatrice la prima non è una notizia, se non per la sinistra, mentre la seconda è una potenziale bomba sociale. C'è il rischio che si legittimi la violenza e gli abusi di un popolo che rifiuta sistematicamente qualsiasi percorso di integrazione e rimane, volontariamente, ai margini della società in vere e proprie zone franche. Che questo sia avallato dal nostro sistema giudiziario è intollerabile, auspico provvedimenti immediati».
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