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DEAD MAN WALKING
19 Luglio 2024 - 08:40
L'attentato fallito a cui abbiamo di recente assistito non può essere derubricato a episodio isolato e superato, ma va piuttosto visto come l'anticamera di potenziali ulteriori attacchi. Trump appare come un condannato che si avvia verso la sedia elettrica: un uomo morto che cammina.
Questa ipotesi si fonda su diverse considerazioni che riguardano gli enormi interessi economici e politici che un eventuale sua nuova presidenza metterà a rischio.
La storia ci insegna che 13 presidenti USA su un totale di 45 son stati oggetto di attentati, il 29%, quasi uno su 3. E 4 si sono conclusi con la morte dell'obbiettivo, senza contare l'uccisione del candidato Robert Kennedy. Insomma, uno su dieci ci ha lasciato la pelle. Gerald Ford di attentati ne ha subiti 2, scampando a entrambi.
Non sembrerebbe affatto peregrino pensare che le probabilità, nel caso di The Donald, aumentino di parecchio, tenendo in conto le variabili di odio e i colossali tornaconti finanziari minacciati dalle sue politiche, dai suoi programmi, dalle sue promesse. Non occorre dunque uno scienziato della statistica per capire che presidenti polarizzanti e particolarmente divisivi hanno maggiori rischi di attentati e qui, al proposito, siamo in presenza di un illustrissimo e innegabile esempio.
A ogni costo
Gli Stati Uniti hanno una lunga storia di interventismo militare, sostenuta da potenti lobby dell'industria delle armi e degli appalti di ricostruzione post-bellica. Non ricordo un solo periodo in cui le truppe americane non fossero operative il qualche angolo del mondo nè una fase in cui gli USA siano stati assenti con loro osservatori, armi , consiglieri su significativi scenari bellici: oggi sono contemporaneamente in Israele e in Ucraina, se basta.
Un ritorno di Trump alla presidenza potrebbe minacciare in modo devastante gli imponenti interessi economici dei fabbricanti di armi. Durante il suo primo mandato, lui ha mostrato un deciso orientamento verso una politica estera meno interventista, criticando duramente le guerre infinite e promuovendo il ritiro delle truppe americane da diversi teatri di conflitto. Questa posizione, sebbene molto popolare tra una gran parte dell'elettorato statunitense, è vista con grande preoccupazione dai numerosi beneficiari delle campagne militari statunitensi.
Le industrie belliche traggono altissimi profitti dalla produzione e vendita di armamenti, da quelli convenzionali ai più sofisticati, nonché dai contratti di ricostruzione nei paesi colpiti dai conflitti. La fine di queste guerre o una significativa riduzione dell'impegno militare americano rappresenterebbero una minaccia esistenziale per questi settori. Non sorprende quindi che potenti interessi economici possano vedere un secondo mandato di Trump come una minaccia da neutralizzare rapidamente. Ad ogni costo.
Senza pietà
Un altro settore che potrebbe essere profondamente colpito da una nuova presidenza Trump è quello energetico. Ad essere in particolare pericolo sono le politiche green, vigorosamente sostenute dall'amministrazione Biden. L'attuale tendenza verso l'energia rinnovabile e la riduzione delle emissioni di carbonio è promossa da energiche lobby, che ben sanno come influenzare l’opinione pubblica indirizzandola a ritenere una assoluta priorità quella di combattere con la massima urgenza la minaccia dei cambiamenti climatici. Le politiche di Trump, tuttavia, hanno storicamente favorito l'industria dei combustibili fossili, riducendo le rigide regolamentazioni ambientali e promuovendo la concreta indipendenza energetica basata su petrolio e gas naturale.
VIDEO: LA RICOSTRUZIONE DELL'ATTENTATO A TRUMP:
Un ritorno di Trump potrebbe rallentare o addirittura invertire queste spinte lobbistiche, mettendo a rischio gli investimenti e i profitti delle industrie legate alle energie rinnovabili. La sua opposizione alle politiche ambientaliste internazionali e la sua propensione a favorire le industrie tradizionali lo rendono un avversario naturale per chi promuove un'agenda green. Un bersaglio da eliminare con le buone o con le cattive. Senza pietà.
Non solo USA
Trump ha sempre promosso una visione economica che ricalca quella del Partito Repubblicano di stile reaganiano, caratterizzata da tagli fiscali, deregulation e un forte nazionalismo economico.
La grande diversità consiste nel fatto che il nostro non è il classico politico, aduso alla trattativa e al compromesso. È un bulldozer, esattamente come il suo predecessore Ronald, da cui lo separa solo una consonante. Lui arriva dal mondo dell'impresa, l'altro da quello del cinema: l'azione, lì, conta più delle chiacchiere.
Il programma è destinato a scontrarsi duramente con le attuali politiche che promuovono esclusivamente le logiche di un'economia globalizzata. Le sue proposte di riforma del commercio, finalizzate a ridurre il deficit commerciale e riportare le industrie negli Stati Uniti, minacciano gli interessi di multinazionali e istituzioni finanziarie che beneficiano dell'attuale filiera economica globale.
Inoltre, le intenzioni di Trump in materia di migranti, che puntano a restringere l'accesso agli Stati Uniti, contrastano con gli interessi di settori che dipendono dalla forza lavoro immigrata e che accettano sostanzialmente il criterio del fifty fifty: facciamoli entrare, uno delinque ma l'altro lavora.
È dunque pacifico che la sua retorica contro l'immigrazione illegale e le sue iniziative per costruire un muro al confine con il Messico e deportare gli illegali sono emblematiche di una prospettiva che potrebbe turbare profondamente gli attuali equilibri economici e sociali. E non solo americani.
Lo vogliono morto
Considerando queste dinamiche, è assolutamente plausibile che al primo mancato tentativo ne sussegua un altro, nelle intenzioni auspicabilmente più 'fortunato'. Gli interessi economici e politici minacciati da una sua presidenza potrebbero mobilitarsi in modi estremi per proteggere i propri benefici. Non rappresenta un esercizio di complottismo affermare che i poteri che sostengono l'interventismo bellico, le politiche green e l'attuale sistema economico globale abbiano potenzialmente risorse e influenze sufficienti per orchestrare azioni violente contro un avversario percepito come mortalmente pericoloso. Si tratta di realismo.
La possibilità di ulteriori attentati è quindi attuale, alimentata dalla percezione che questo leader rappresenti una minaccia diretta a posizioni di potere consolidate.
La sua capacità di attirare l'ostilità di possenti settori economici e politici potrebbe rendere la sua vita un bersaglio continuo per chiunque desideri mantenere lo status quo. Valutare razionalmente e seriamente questa eventualità è una responsabilità precisa di tutti coloro che in Occidente sono consapevoli che una presidenza Trump comporterebbe implicazioni non esclusivamente limitate alla politica nazionale, ma ampiamente estese a livello globale, con una rilevantissima influenza sugli equilibri economici, sociali e ambientali di tutto il mondo. E tutto il mondo che si richiama ai valori perenni e non transeunti dell'Occidente deve fin d'ora riaffermare a gran voce che la democrazia non prevede né può tollerare l'assassinio politico e che le decisioni del popolo americano vanno rispettate senza se e senza ma.
Un lavoretto sporco
Gli episodi di violenza politica ad altissimo livello nascondono da sempre irrisolti misteri. Basti pensare a John Fitzgerald Kennedy, assassinato da Lee Oswald, assassinato a sua volta dal malato terminale Jack Ruby, morto senza profferire verbo. Buio fitto ma troppi sospetti.
Tra i tanti interrogativi emersi tra gli osservatori accreditati, tralasciando i terrapiattisti che ci garantiscono che Trump si sia fatto sparare per guadagnare consensi, ne esiste uno che riguarda la successione dei colpi esplosi in Pennsylvania: tra i 2 colpi dell'attentatore e quelli dello sniper che lo uccide passano pochissimi istanti, che parrebbero francamente insufficienti ad individuare in quel frastuono di folla la fonte dello sparo dell'attentatore. Il dubbio è forte: era forse già sotto tiro, in attesa che facesse il lavoretto?
Sangue sotto la bandiera
Approfondendo la situazione statunitense, risulta evidente come la polarizzazione politica, sociale e razziale abbia raggiunto livelli senza precedenti.
Le idee trumpiane di forte nazionalismo economico e di cruda critica alle norme commerciali internazionali avrebbero un notevolissimo impatto sulle relazioni con partner commerciali storici sotto ogni latitudine, aumentando il rischio di conflitti non solo economici ma anche diplomatici. Questi fattori, combinati con la già complessa rete di interessi economici e politici, aumentano la probabilità che gruppi con risorse considerevoli vedano la sua rimozione, anche violenta ove indispensabile, come unico percorso praticabile.
Infatti Trump rappresenta una figura dirompente, capace di scatenare forti reazioni, positive fino alla venerazione tra i suoi sostenitori, ostili fino all'odio tra i suoi detrattori. L'oratoria incendiaria e il temerario coraggio nello sfidare l'establishment politico hanno contribuito a creare un clima di scontro costante.
La sua resistenza all'ideologia woke delle elites e i suoi scontri con le centrali culturali, spesso universitarie, da cui promanano le nuove cervellotiche dottrine “progressiste” che stanno rendendo l’America la caricatura di se stessa è sempre stata ben salda e priva di tentennamenti. Ma ora è divenuta leggendaria, immortalata nell'immagine di un uomo ferito ma irriducibile, con il volto sanguinante e il pugno sollevato a indicare l'indomabile volontà di proseguire la sua battaglia. Sotto la propria bandiera.
The end
L'opinione che l'attentato contro Donald Trump possa non essere un episodio isolato trova pertanto fondamento nella complessità degli interessi in gioco e la possibilità che se ne verifichino nuove puntate non sembra per nulla remota. Le sue politiche minacciano settori potenti e consolidati, che potrebbero individuare nella violenza l'unico strumento per proteggere i propri business a dispetto della volontà popolare e della giustizia. La storia e le evoluzioni attuali di una società terribilmente aggressiva nonchè la fragilità e la tensione del momento politico sono tutti inequivocabili e assordanti segnali di pericolo e di allarme che anche aldiquà dell'oceano qualcuno dovrebbe ben cogliere.
La posta in gioco è drammaticamente alta e, per troppi acerrimi antagonisti del candidato sotto attacco, tale posta vale ben più della vita di quest'uomo.
Affermare che Trump sta per morire non è una semplice provocazione. È possibile. Anzi, è probabile.
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