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Dalle vestigia di Olimpia alle discusse Olimpiadi in terra di Francia

Giuliano Ferrara e Parigi 2024: in scena il teatro della crudeltà

Le controverse Olimpiadi di Parigi tra osservazioni, ricordi e polemiche

Olimpia

Confesso che un ormai lontano indimenticabile viaggio in Grecia con mia moglie e i miei figli fu un momento importante di formazione per tutta la famiglia. Le visite alle vestigia e ai musei di Atene e delle città del Peloponneso con la memoria degli echi delle gesta degli eroi omerici ci creavano una sorta di ebbrezza che cercavamo di trasmettere ai figli, spiegando loro i miti e la storia greca come delle fantastiche favole. La sera, prima che si addormentassero, mia moglie leggeva loro “La scoperta di Troia” di Heinrich Schliemann. Insomma volevamo dare un imprinting profondo un timbro, nell’anima dei nostri figli, della radice della nostra civiltà occidentale. L’ultima città visitata fu Olimpia. Fu un’epifania. L’emozione fu più forte della vista dell’acropoli di Atene, della porta dei leoni e della tomba di Agamennone a Micene, del teatro a Epidauro. A Olimpia più dell’Ermes di Prassitele e del laboratorio di Fidia, fu la vista della pista di atletica, nei ruderi dello stadio, il culmine dell’emozione. Forse fu il caldo feroce che ci provocò miraggi di possenti atleti che si cimentavano nella corsa, nel lancio del disco, del giavellotto, nella lotta, nel pugilato, nell’equitazione.


Il luogo aveva di suo un’aura di sacralità. Perché i giochi erano associati a riti religiosi e celebrazioni funebri. Nel XXIII libro dell’Iliade Omero per primo associa i giochi ai riti funebri religiosi, per la morte di Patroclo:

“Così formarono un tumulo e tornavano indietro.
Achille tratteneva sul posto la gente, spianò il terreno per le gare.
Faceva portare fuori dalle navi i premi: erano lebeti e tripodi, cavalli, muli e buoi dalla testa possente, donne dalle belle cinture e grigio ferro.”

I giochi olimpici antichi si svolsero ogni quattro anni, con regolarità, dal 776 a.C. al 392 d.C, e duravano una settimana. La settimana in questione corrispondeva al plenilunio di Agosto, e coniugava i giochi con una serie di celebrazioni religiose alle quali partecipavano tutti i popoli della Grecia. Durante il loro svolgimento tutte le ostilità belliche venivano sospese. Ma che cosa è rimasto delle Olimpiadi dell’antichità in quelle dell’era moderna? Molto secondo me. Certamente il carattere sacrale dei riti: la fiaccola accesa ad Olimpia col fuoco sacro e trasportata dai tedofori nel luogo delle gare. La sfilata degli atleti con la cerimonia di apertura dei giochi. La solennità della premiazione. Le attuali olimpiadi di Parigi, in un certo qual modo, hanno confermato la ritualità sacralizzata dell’evento. Si è passati dalle Olimpiadi dell’antichità, informate da una religiosità pagana e per questo motivo abolite dall’imperatore Teodosio nel 392 d.C., alla prima olimpiade dell’era moderna i cui giochi furono riportati in auge, dal barone De Coubertin, ad Atene nel 1896. Queste, al di là della retorica decubertiniana, erano improntate a principi cristiano cattolici: “Non è importante vincere ma partecipare”, una sorta di “beati gli ultimi”.

Contraddicendo, questo cosiddetto spirito olimpico, quanto avviene nelle piste e nei campi da gioco ovvero che gli atleti gareggiano per vincere, così come succede nella vita. Qualche illustre intellettuale come Giuliano Ferrara, scrive delle olimpiadi come “Immenso Teatro della Crudeltà”, dove gli spettatori sono solo per gli eroi che vincono e i perdenti, se ancora ce la faranno avranno una seconda chance solo dopo quattro anni. Beati i poveri di muscoli è il Discorso della Montagna dell’ateo devoto Ferrara. Di più, dalle Metamorfosi di Ovidio ove il destino degli uomini è determinato dal capriccio degli dei arremba alla sua “catechesi”, un po’ woke?, dell’inclusione. Si quella della pugile algerina “inchiodata a una discussione sul suo essere donna”. Ferrara è sempre un po’ più avanti degli altri ed ha colto (anche accolto?) in pieno la nuova ierofania di Parigi 2024.

La cerimonia di apertura che ha sostituito il corteo delle nazionali con i bateau mouche, la nuova pervasiva religione sottostante ovvero quella delle processioni del gay pride e della nuova morale sessuale liquida che include tutto e tutti e sessualmente si è quello che si decide di essere. Non deve sorprenderci il richiamo della foresta ideologico di Ferrara perché, come sostiene il mio amico Massimo M.: “gratti il russo e viene fuori il cosacco…. viene sempre fuori l’indomabile indole egualitaria e il perenne stimolo repressivo verso chi afferra il drappo della vittoria….”. Ma la vita reale non si lascia curvare dalle ideologie, da sempre c’è chi vince e chi perde nella gara della vita. La competizione è connaturata alla natura umana, basta rispettarne le regole. E allora, rigettando la saga piagnona del povero sconfitto, si può vincere ma anche perdere, ma con l’onore che dà la forza di ricominciare, come è sempre stato e sempre sarà. E poi, ce lo hanno insegnato il mito e la letteratura con l’eroe troiano Ettore, anche i vinti hanno la loro grandezza.

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