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Il caffé in redazione

"La Fondazione Crt non sarà il bancomat dei partiti e dei furbetti". Ecco cosa dice e cosa pensa (e non dice) Giampiero Leo

Politico di lungo corso e componente del Consiglio di indirizzo della Fondazione, Leo ripone la massima fiducia nella Super presidente Anna Maria Poggi

Il caffé in redazione

Colloquio con Giampiero Leo

Da aprile sembra trascoso un secolo, almeno in Fondazione Crt. Infatti, dopo una serie di dimissioni a catena (in realtà neppure troppe), compresa quella del presidente Fabrizio Palenzona, nelle “segrete stanze” di via XX Settembre molte cose sembrano essere cambiate. Forse la lettura più oggettiva e, considerato il personaggio, ottimista, la offre Giampiero Leo, componente del Consiglio di indirizzo della Fondazione e presidente della Commissione che si occupa di arte, cultura, wealfare e territorio. Ma da fedele allievo di grandi maestri della politica, prima di parlare e “sbottonarsi” un po’ (ma proprio poco), Leo pone una pregiudiziale proprio sulla prima domanda, una sorta di “preambolo” (di democristiana memoria) a tutto ciò che dirà dopo: «In via XX Settembre, non ci sono segrete stanze», semmai ci fossero state prima (ma queste ultime cinque parole fuori dalle virgolette, Leo non le ha pronunciate). «Non ci sono segrete stanze - aggiunge - anche perché in soli tre mesi di presidenza, Anna Maria Poggi ha cambiato tutto». Da una parte, la giurista doveva restituire credibilità all’istituzione, dall’altra, invece, tamponare falle, rispondere per le rime e fornire tutte le garanzie chieste dal Mes del leghista Giancarlo Giorgetti. «Anna Maria - sussurra Leo - è una persona che se le chiedi dieci, lei lavora per darti quindici. Non solo è competente, ma decisamente infaticabile. Giù a Roma, al Mes, ha inviato relazioni di migliaia di pagine».

GIAMPIERO LEO

Per leggerle tutte, con i ritmi ministeriali correnti, impiegheranno mesi (anche questo, fuori dalle virgolette). Almeno sei, giusto in tempo per la nomina del nuovo Cda, oggi a ranghi ridotti, comunque in grado di offrire quel numero legale necessario alla Super presidente per operare in via ordinaria e straordinaria. Che cosa abbia fatto finora Poggi, lo sintetizza con entusiasmo Leo: «Con un colpo di spugna e un nuovo statuto, sono stati cancellati tre pericoli che non appartengono più alla Fondazione: l’autoreferenzialità, l’autoconservazione e quell’essere eterodiretti» da partiti, caste, centri di potere economici e finanziari e lobbies varie. Spiega Leo: «I nominati, in Cda o nel Consiglio di indirizzo, possono anche essere espressione di diverse entità, ma devono possedere un’adeguata competenza e quella libertà necessaria per agire per il bene della Fondazione, del territorio e del tessuto sociale. A tale proposito poco c’entrano terne, quaterne o cinquine, sono solo un metodo, altra è la sostanza». E proprio in virtù del fatto che il Cda si trova in una situazione particolarmente difficile, la presidente Poggi sembra aver puntato di più sul Consiglio di indirizzo «che è composto - sottolinea Leo - nella sua stragrande maggioranza da persone libere da qualsiasi condizionamento, appassionate e desiderose di lavorare al meglio per il bene della comunità» e dove le fanno scudo i suoi tre pretoriani che dirigono le commissioni strategiche della Fondazione. Di quella di Leo si è già detto, le altre sono: Bilancio e investimento (Caterina De Bari) e Istruzione, università e ricerca (Giuseppe Tordino). Un’altra commissione sarà poi composta entro il 10 di settembre e si occuperà di terne e di altri compiti finora svolti solo parzialmente. Fin qui il presente.

ANNA MARIA POGGI

Sul passato, quello recente anche se appare remoto, tra virgolette Leo sembra aver poco da dire: «Io non credo ci siano mai stati patti occulti o palesi. Semplicemente, alcuni che avevano sostenuto Fabrizio Palenzona, non se la sono più sentita di seguirlo. E non è il mio caso perché ai tempi io avevo votato per Giovanni Quaglia e, a suo tempo, in prospettiva, avrei visto bene Enzo Ghigo nel ruolo di presidente, anche perché è opportuno ricordare che ai tempi del governo Ghigo in Regione e di Castellani e Chiamparino sindaci, tutte le nomine significative, in particolare nel campo della cultura, furono fatte di comune accordo, seguendo davvero criteri di merito e di competenza (ad esempio Alberto Barbera al Museo del Cinema o Agostino Rebaudengo al Teatro Stabile)». Come dire, se c’è stato un terremoto, questo è avvenuto tra i sostenitori del vecchio presidente e non ha coinvolto l’istituzione nel suo complesso. C’è poi uno spunto squisitamente ideologico che Leo sottolinea a più riprese: «Le risorse che la Fondazione distribuisce devono essere destinate con equità, scienza e coscienza. La Fondazioni non devono trasformarsi nei bancomat della politica e di organizzazioni e centri di interessi vari, pubblici o privati. Noi guardiamo al territorio e lo vogliamo sostenere. Ovviamente per fare questo nel modo più corretto è indispensabile e prioritario un rapporto di dialogo, collaborazione, ascolto e coprogettazione con le varie realtà istituzionali, a partire dalla regione Piemonte e dal Comune di Torino». La Crt, dunque, si vuole distinguere dalla cugina San Paolo dove le nomine, come quella del presidente che spetta al sindaco di Torino, appaiono palesemente politiche: «Sarebbe un errore se i vertici della Fondazione Crt fossero l’espressione della Regione. Diciamo così, della regione sì, ma con R minuscola. In ogni caso, mi sento di dire che il lavoro svolto in questi tre mesi, la riforma che abbiamo varato e che è stata ispirata da Anna Maria Poggi che è una giurista di fama, oggi rende impossibile alcun tipo di commistione tra interessi privati e interessi della Fondazione». Un altro errore sarebbe se le nomine fossero espressione della Regione come a compensare la presidenza della Compagnia San Paolo.

FABRIZIO PALENZONA

«Però se nel centrodestra qualcuno ci ha pensato, non è stato certamente il presidente Cirio che si è sempre rapportato con la Fondazione ad un livello di assoluta correttezza istituzionale». E se ancora non se ne è accorto, dopo che avrà letto le migliaia di pagine, se ne renderà conto anche Giancarlo Giorgetti (anche questo Leo non lo ha detto). C’è chi insinua, infatti, che il caso Palenzona e le inchieste penali che si è portato appresso, abbia spinto qualcuno a pensare, troppo precipitosamente, all’ipotesi commissariamento come transizione verso un Fondazione meno “cattolica” e più “padana”. Su questo Leo con un grande sorriso ha poco da dire: «Ad oggi la presidente Anna Maria Poggi ha scongiurato il commissariamento e credo che quest’ipotesi sia naufragata definitivamente», con buona pace di Matteo Salvini che alla “Fassino maniera” sognava di pronunciare la fatidica frase: «non avremo una banca, ma almeno abbiamo una Fondazione». Dunque, una Crt lontana dalle dinamiche, ma attenta alla politica e dove la componente “cattolica” sembra prevalere di gran lunga, tant’è che anche ai vescovi Piemontesi spetta la nomina di un componete del Cda.

ALBERTO CIRIO E STEFANO LO RUSSO

«Sì, so dove volete arrivare - aggiunge Leo sornione -. Giornalisticamente potrebbe avere un senso dire che la Fondazione è controllata dal Movimento Popolare, da Cl, perché sia il sottoscritto che Anna Maria Poggi veniamo da lì e lì ci sono le nostra radici. Ma non è così, intanto perché un soggetto come il Movimento Popolare non esiste più e poi perché sia io che la Presidente siamo arrivai qui autonomamente e per meriti personali». Vero, il panorama, rispetto agli anni 80 e 90 è profondamente mutato, non c’è più il collante della politica, non ci sono più Vittorio Sbardella, Giulio Andreotti (mai completamente digeriti dai ciellini piemontesi), non c’è più una leadeship come quella di Roberto Formigoni e la Compagnia delle Opere non è più il centro di potere di trentanni fa. Resta Giampiero Leo che ha attraversato indenne, e sempre come protagonista, quasi mezzo secolo di politica. In Fondazione è indubbiamente la più raffinata mente politica pensante, tanto che viene da chiedersi: ha votato Quaglia, avrebbe votato Ghigo, ma poi, alla fine, dal cilindro è uscita Anna Maria Poggi (ma chissà di chi è stata l’idea...). Lui nega e allontana ogni allusione. Forse perché a 71 anni può dar fastidio già essere considerati dei “grandi vecchi”.

GIULIO ANDREOTTI E VITTORIO SBARDELLA

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