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Il caso
30 Agosto 2024 - 06:20
«I cittadini di questo territorio hanno un terzo di possibilità di avere giustizia rispetto agli altri».
Gabriella Viglione, procuratrice capo di Ivrea, non trattiene la sua disperazione. E torna ancora una volta a parlare della condizione «disastrosa» del suo ufficio. Ovvio che poi le inchieste vadano a rilento, comprese quelle più delicate: «Anche per questo le indagini sulla strage di Brandizzo sono molto complesse - allarga le braccia, sconsolata, la magistrata - Ma vogliamo accertare tutte le responsabilità, al di là di quelle emerse nell’immediato». La sua è anche una risposta ai familiari delle cinque vittime, che si aspettavano delle risposte prima che cadesse il primo anniversario della tragedia (che cade proprio oggi): «Lavoriamo nell’ottica di dare loro la maggiore verità possibile: ne hanno tutto il diritto».
Viglione non rivela nulla dell’inchiesta ma racconta nel dettaglio i guai della Procura eporediese: «Dobbiamo elemosinare il personale da altri enti: siamo come “barboni della giustizia”. Ormai è così da anni e sta peggiorando: a questo punto, forse è meglio chiuderci».
La peggiore d’Italia
La riforma del 2013 ha assegnato a Ivrea una Procura da mezzo milione di abitanti, che comprende anche città come Venaria e Settimo. Ma le piante organiche sono rimaste quella di prima. E i reali dipendenti sono sempre di meno: «Abbiamo 8 agenti di polizia giudiziaria invece di 24, 15 impiegati anziché 29 e 10 magistrati al posto di 12».
Il risultato è che ogni pm ha 2mila fascicoli di cui occuparsi, praticamente senza investigatori e funzionari che li aiutino: «Quando ci sono assenze per ferie o malattie, bisogna fare i turni per coprirsi: così diventa ingestibile, con numeri spropositati rispetto a tutto il resto del mondo. Lo abbiamo detto mille volte, c’è stata un’ispezione ma non abbiamo visto alcun miglioramento».
La sede di Procura e Tribunale di Ivrea
Viglione fa esempi che mettono i brividi se si pensa che in ballo c’è il diritto alla giustizia di 500mila persone: «Al Tribunale va un po’ meglio perché sono arrivati degli impiegati, anche grazie ai fondi del Pnrr. Da noi era previsto l’arrivo di 29 persone, ne abbiamo ricevute due: una è di Palermo, quindi potrebbe andarsene. Un altro dipendente è stato assunto per la prima volta a 63 anni. E, con una pianta organica distrutta, non ho neanche più gli impiegati per fare formazione a lavoratori».
Da qui la necessità di «fare la carità», come ammette la stessa procuratrice: «Dovrebbe occuparsene il Ministero, invece vado io a chiedere ufficiali, carabinieri o tecnici di altre procure ed enti per darci una mano».
Dalle Valle d’Aosta, per esempio, vengono mandati impiegati a rotazione. Perché non sempre gli stessi? Perché gli impiegati valdostani hanno un’indennità supplementare per la seconda lingua e la perderebbero se venissero trasferiti in pianta stabile alla Procura di Ivrea.
Un altro esempio: «Il questore ci ha mandato un agente perché l’ultima pm arrivata a gennaio, Maria Baldari, non aveva nessuno. Dobbiamo fare così, altrimenti non andiamo avanti. E si lavora anche male, visto che queste persone vanno e vengono».
«Meglio chiudere»
L’elenco dei guai è infinito: «Tanti impiegati se ne sono andati e a Ivrea non vuole venire nessuno perché siamo scomodi e perché si lavora tre volte tanto. Il risultato è che abbiamo lavoratori non pronti e neanche un ufficiale di polizia giudiziaria per ogni magistrato». Così diventa praticamente impossibile fare le indagini. Altro che dedicare “squadre” apposta alle indagini più delicate. Come la strage di Brandizzo e non solo, visto che a Ivrea indagano sulla tragedia della Freccia tricolore (che, il 16 settembre 2023, è precipitata e ha ucciso la piccola Laura Origliasso).
«Tutto ciò si ripercuote gravemente sui tempi, anche perché le urgenze ci sono sempre e vanno seguite. Io gestisco direttamente 11mila fascicoli contro ignoti l’anno e, in questo stato, solo un migliaio possono diventare inchieste vere e proprie. Il resto si arena lì perché non riusciamo a gestirlo. E poi c’è l’archiviazione digitale, che tocca direttamente al magistrato. Così è scoraggiante, non si vede la luce in fondo al tunnel: o prendiamo atto che la situazione è questa o chiudiamo gli uffici».
La soluzione sarebbe accorparvi a Torino? «Il territorio è enorme e merita attenzione. Ma, dopo 11 anni, si prenda atto che non ce la facciamo più».
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