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Il caso

Perché nella procura più disastrata d'Italia ci sono 10mila casi irrisolti ogni anno?

La denuncia della procuratrice di Ivrea: «Così indagare sulla strage di Brandizzo è più difficile. Noi non ce la facciamo più»

Perché nella procura più disastrata d'Italia ci sono 10mila casi irrisolti ogni anno?

«I cittadini di questo territorio hanno un terzo di possibilità di avere giustizia rispetto agli altri».

Gabriella Viglione, procuratrice capo di Ivrea, non trattiene la sua disperazione. E torna ancora una volta a parlare della condizione «disastrosa» del suo ufficio. Ovvio che poi le inchieste vadano a rilento, comprese quelle più delicate: «Anche per questo le indagini sulla strage di Brandizzo sono molto complesse - allarga le braccia, sconsolata, la magistrata - Ma vogliamo accertare tutte le responsabilità, al di là di quelle emerse nell’immediato». La sua è anche una risposta ai familiari delle cinque vittime, che si aspettavano delle risposte prima che cadesse il primo anniversario della tragedia (che cade proprio oggi): «Lavoriamo nell’ottica di dare loro la maggiore verità possibile: ne hanno tutto il diritto».

Viglione non rivela nulla dell’inchiesta ma racconta nel dettaglio i guai della Procura eporediese: «Dobbiamo elemosinare il personale da altri enti: siamo come “barboni della giustizia”. Ormai è così da anni e sta peggiorando: a questo punto, forse è meglio chiuderci».

La peggiore d’Italia

La riforma del 2013 ha assegnato a Ivrea una Procura da mezzo milione di abitanti, che comprende anche città come Venaria e Settimo. Ma le piante organiche sono rimaste quella di prima. E i reali dipendenti sono sempre di meno: «Abbiamo 8 agenti di polizia giudiziaria invece di 24, 15 impiegati anziché 29 e 10 magistrati al posto di 12».
Il risultato è che ogni pm ha 2mila fascicoli di cui occuparsi, praticamente senza investigatori e funzionari che li aiutino: «Quando ci sono assenze per ferie o malattie, bisogna fare i turni per coprirsi: così diventa ingestibile, con numeri spropositati rispetto a tutto il resto del mondo. Lo abbiamo detto mille volte, c’è stata un’ispezione ma non abbiamo visto alcun miglioramento».

La sede di Procura e Tribunale di Ivrea

Viglione fa esempi che mettono i brividi se si pensa che in ballo c’è il diritto alla giustizia di 500mila persone: «Al Tribunale va un po’ meglio perché sono arrivati degli impiegati, anche grazie ai fondi del Pnrr. Da noi era previsto l’arrivo di 29 persone, ne abbiamo ricevute due: una è di Palermo, quindi potrebbe andarsene. Un altro dipendente è stato assunto per la prima volta a 63 anni. E, con una pianta organica distrutta, non ho neanche più gli impiegati per fare formazione a lavoratori».
Da qui la necessità di «fare la carità», come ammette la stessa procuratrice: «Dovrebbe occuparsene il Ministero, invece vado io a chiedere ufficiali, carabinieri o tecnici di altre procure ed enti per darci una mano».

Dalle Valle d’Aosta, per esempio, vengono mandati impiegati a rotazione. Perché non sempre gli stessi? Perché gli impiegati valdostani hanno un’indennità supplementare per la seconda lingua e la perderebbero se venissero trasferiti in pianta stabile alla Procura di Ivrea.
Un altro esempio: «Il questore ci ha mandato un agente perché l’ultima pm arrivata a gennaio, Maria Baldari, non aveva nessuno. Dobbiamo fare così, altrimenti non andiamo avanti. E si lavora anche male, visto che queste persone vanno e vengono».

«Meglio chiudere»

L’elenco dei guai è infinito: «Tanti impiegati se ne sono andati e a Ivrea non vuole venire nessuno perché siamo scomodi e perché si lavora tre volte tanto. Il risultato è che abbiamo lavoratori non pronti e neanche un ufficiale di polizia giudiziaria per ogni magistrato». Così diventa praticamente impossibile fare le indagini. Altro che dedicare “squadre” apposta alle indagini più delicate. Come la strage di Brandizzo e non solo, visto che a Ivrea indagano sulla tragedia della Freccia tricolore (che, il 16 settembre 2023, è precipitata e ha ucciso la piccola Laura Origliasso).

«Tutto ciò si ripercuote gravemente sui tempi, anche perché le urgenze ci sono sempre e vanno seguite. Io gestisco direttamente 11mila fascicoli contro ignoti l’anno e, in questo stato, solo un migliaio possono diventare inchieste vere e proprie. Il resto si arena lì perché non riusciamo a gestirlo. E poi c’è l’archiviazione digitale, che tocca direttamente al magistrato. Così è scoraggiante, non si vede la luce in fondo al tunnel: o prendiamo atto che la situazione è questa o chiudiamo gli uffici».
La soluzione sarebbe accorparvi a Torino? «Il territorio è enorme e merita attenzione. Ma, dopo 11 anni, si prenda atto che non ce la facciamo più».

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