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La tragedia, un anno dopo

Strage di Brandizzo, spuntano altri indagati. Ma nessun risarcimento alle famiglie

La rabbia dei parenti delle cinque vittime: «Hanno giocato sporco e nascosto tutto. Poi è sceso il silenzio»

Strage di Brandizzo, spuntano nuovi indagati. Ma nessun risarcimento alle famiglie

Nessun risarcimento e inchiesta prorogata, anche se spuntano altri indagati per la morte dei cinque operai travolti dal treno: domani sarà passato un anno dalla strage di Brandizzo e le famiglie delle vittime ancora chiedono giustizia. E gli unici soldi che hanno ricevuto sono i 100mila euro che i dipendenti di Rfi e Ferrovie dello Stato hanno donato, decurtandosi una parte dello stipendio: «Non abbiamo più sentito Rfi e SiGiFer ha avuto solo il coraggio di mandarci i fiori, che abbiamo rifiutato - riporta Edoardo Aversa, fratello di Giuseppe, uno dei cinque operai travolti dal treno - Risarcimenti non ne sono arrivati ma non ci interessano: pensiamo noi ai nostri familiari che stanno soffrendo di più perché loro non ci hanno pensato. Ma ora conta che i colpevoli vengano presi e che ci dicano come sono andate le cose perché hanno nascosto tutto».

Cosa è successo

La tragedia risale esattamente alle 23.49 del 30 agosto 2023, quando un treno in corsa a 160 chilometri orari ha investito cinque operai al lavoro sulla linea, poco distante dalla stazione ferroviaria di Brandizzo. Tutti sono stati uccisi e sbalzati a 300 metri di distanza: Michael Zanera, 34enne di Vercelli; Saverio Giuseppe Lombardo, 52 anni, anche lui vercellese; come il più giovane del gruppo, il 22enne Kevin Laganà; Giuseppe Sorvillo, 43 anni, di Brandizzo; Giuseppe Aversa, 49 anni, di casa a Chivasso.

I cinque facevano parte della squadra allestita dalla SiGiFer, azienda di Borgo Vercelli che lavorava in subappalto per Clf (Costruzioni linee ferroviarie), a sua volta appaltatrice per Rfi, l’azienda pubblica che gestisce il trasporto ferroviario.
Con le cinque vittime erano al lavoro il caposquadra di SiGiFer, Andrea Gibin, e Antonio Massa, caposcorta di Rfi: salvi per miracolo e poi accusati dal video girato da Laganà poco prima dello schianto, in cui si sente Massa dire “Se vi dico treno, andate da quella parte”, sono stati i primi iscritti nel registro degli indagati dalla procura di Ivrea.

L’accusa è omicidio colposo e disastro ferroviario con dolo eventuale. Poi, nei mesi successivi, i pubblici ministeri Valentina Bossi e Giulia Nicodemi hanno allargato il faro su SiGifer, Clf e Rfi, iscrivendo altre persone nel registro degli indagati: per SiGiFer, oltre alla stessa società, ci sono il direttore generale Franco Sirianni, il direttore tecnico Cristian Geraci, la legale rappresentante Simona Sirianni e il socio Daniele Sirianni; per Rfi, l’azienda e i dirigenti Andrea Bregolato e Gaetano Pitisci.

Un anno dopo

Ora emergono altri nomi e società, per un totale di undici persone fisiche e quattro giuridiche: all’elenco si aggiungono le società Unifer e Clf, più tre dirigenti della seconda. Si tratta dell’amministratore delegato Enrico Peola, del direttore tecnico Paolo Mirabella e di Roberto Latuga.
In questi giorni la Procura eporediese chiederà la proroga delle indagini per altri sei mesi, in modo da avere il tempo di chiudere l’inchiesta dopo un anno di analisi su documenti, video, testimonianze e “scatola nera” del treno. Anche perché in altre occasioni, prima e dopo, ci sarebbero state irregolarità simili a quella di Brandizzo: era una prassi iniziare i lavori sui binari quando il traffico ferroviario non era ancora bloccato? Se sì, perché? Conveniva a qualcuno? Domande ancora senza risposta.

La rabbia delle famiglie

A chiedere risposte sono soprattutto i parenti delle vittime. D'altronde, a sentir parlare Edoardo Aversa, non sembra che sia passato un anno dalla morte di suo fratello Giuseppe e degli altri quattro operai. Ha ancora negli occhi il dolore e la rabbia della mattina del 31 agosto, quando ha saputo della strage della sera prima: «Alcuni di noi lo hanno letto su internet prima che ci avvisassero ufficialmente». E nelle orecchie di Aversa risuona ancora il rumore del treno che ha ucciso quei cinque operai: «Abito a Chivasso, lungo la linea ferroviaria che va a Brandizzo. L’ho sentito, andava fortissimo. Ora mi voglio trasferire, vado fuori di testa a ogni treno che passa».

Il fratello di una delle vittime era presente ieri nella sede della Città metropolitana per ringraziare delle iniziative in ricordo della tragedia ferroviaria. Ma anche per sfogare la sua rabbia: «Non ci hanno ancora restituito gli effetti personali di Giuseppe. Non abbiamo neanche visto il corpo: d’altronde non c’era più niente, era tutto dilaniato».

Dei cinque operai, infatti, c’erano pochi resti recuperati dalla polizia scientifica per restituire alle famiglie quello che era possibile dopo il passaggio del treno, che ha avuto l’effetto di una bomba: «Eppure lo hanno spostato e lo hanno portato ad Alessandria con ancora i resti attaccati - non si trattiene Aversa -. Quelli delle onoranze funebri sono dovuti andare lì a recuperarli: è fuori dal normale». Come il fatto che, secondo lui «i responsabili non hanno avuto neanche una punizione “virtuale” (a parte il caposquadra Antonio Massa, licenziato da Rfi, ndr). Ora speriamo che venga fatta davvero giustizia e che emerga la verità».

Le indagini sono ancora in corso: «Così dicono ma non abbiamo più saputo nulla: hanno nascosto tutto, c’è silenzio assoluto. Ma noi vogliamo risposte molto chiare. Mio fratello non avrebbe mai rischiato, sono certo che fosse una prassi ma lui e i suoi colleghi non ne sapevano nulla. Hanno giocato sporco tante volte e quella sera è andata male».

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