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La denuncia
09 Settembre 2024 - 07:30
«Se non facciamo qualcosa, prima o poi dovremo chiudere dei Pronto soccorso. Anzi, alcuni sono virtualmente chiusi già adesso».
A parlare è Fabio De Iaco, presidente della Simeu, la Società italiana di Medicina di Emergenza e Urgenza. Uno che affronta ogni giorno i problemi degli ospedali, visto che dirige il pronto soccorso del Maria Vittoria di Torino. Ed è abituato a vedere le aggressioni quotidiane e tutte le altre difficoltà che spingono i giovani dottori a scegliere altre strade: «In Piemonte mancano 281 medici specializzati in Emergenza e Urgenza, il 43% di quanto previsto dalle piante organiche». Quasi uno su due. E il numero sembra destinato a salire, visto che «ogni anno arrivano 40 nuovi specialisti: è un problema enorme».
De Iaco non indora la pillola e fa capire che la situazione è già drammatica, senza guardare troppo lontano nel futuro: «Già oggi, in certi turni, il pronto soccorso è virtualmente chiuso perché non ci sono specialisti in servizio». Quindi chi si trovano davanti i pazienti che entrano negli ospedali, soprattutto quelli più piccoli e in provincia? «Gettonisti delle cooperative, liberi professionisti e colleghi di altri reparti dell’ospedale: può capitare di essere curati da neo laureati e medici estetici». O addirittura da finti dottori, come successo a chi ha incrociato la torinese Enrica Massone all’ospedale di Bordighera. Un caso limite ma emblematico: «Non significa che si trovino sempre medici non preparati, anzi - precisa De Iaco - Ma così non si può controllare. E prima o poi succederà che si debbano tagliare dei servizi e chiudere i pronto soccorso».
Il primario e presidente del Simeu prova a proporre delle contromisure: «Servono soluzioni che garantiscano il servizio e la qualità necessaria: io dico di impiegare gli specializzandi dal terzo anno in poi, in modo che entrino già in pronto soccorso. Ovviamente seguiti da un tutor». Sarebbero una 50ina di medici in più per il Piemonte: «Non risolverebbero il problema ma darebbero un grande aiuto». E perché non viene fatto? «Non lo so, io ne ho parlato proprio giovedì al Ministero della Salute. Come al solito, tutti mi hanno guardato e mi hanno detto che ho ragione. Ma poi non si fa mai niente». Perché? «Non è il caso del Piemonte ma c’è un grosso problema di potentati universitari. Bisogna cambiare le regole a livello nazionale».
E non va meglio agli infermieri
Meno aspiranti infermieri dei posti disponibili nelle università piemontesi: «Così resteremo senza il motore della nostra sanità» tuona il Nursind, il sindacato degli infermieri che ha lanciato l’allarme a iscrizioni chiuse. Ecco i numeri: complessivamente ci sono 1.175 posti per il corso di laurea in Infermieristica ma quest’anno le domande per partecipare ai test di ingresso sono state 1.052, ben 123 in meno. Mentre gli iscritti a Fisioterapia o Dietistica sono molti più dei posti disponibili, tutte le sedi di Infermieristica in Piemonte sono in “negativo” (tranne Città di Torino e Città della salute).
La colpa è di condizioni di lavoro sempre meno attraenti per i giovani: «Ammesso che tutti i candidati si presentino alle prove di ammissione e che tutti riescano a superarle, ad aggravare la prospettiva è la percentuale abbastanza consolidata di coloro che lasceranno durante il percorso di studi, specie durante il primo anno che rappresentano un altro buon 10%» fa notare Francesco Coppolella, segretario regionale del Nursind. Che sottolinea come sia più facile trovare lavoro come infermiere che da fisioterapista o dietista, visto che già oggi mancano infermieri negli ospedali: «Dobbiamo anche chiederci: quanti di questi studenti, una volta laureati, sceglieranno di lavorare nel servizio sanitario pubblico e quanti preferiranno la sanità privata, allettati da condizioni di lavoro migliori e maggiori guadagni? Quanti decideranno di restare in Piemonte e quanti andranno all’estero, dove salari e condizioni di lavoro sono decisamente migliori? Oppure sceglieranno regioni italiane che stanno investendo sull’aumento dei salari e su politiche di welfare».
La Valle d’Aosta, infatti, ha aumentato gli stipendi di 300 euro, il Veneto ha fatto lo stesso stanziando 150 milioni, la Lombardia offre case a prezzi calmierati. Prosegue Coppolella: «Una cosa è certa: nella nostra regione, per pensionamenti o dimissioni precoci sempre in aumento, le uscite saranno decisamente più degli ingressi. Avremo molti meno infermieri e questo avrà necessariamente una ricaduta sui servizi. Eppure, di fronte a questo dato di fatto, in Piemonte non si sta facendo nulla». Il Nursind chiede che la Regione Piemonte istituisca una commissione o una unità di crisi sul tema: «Bisogna investire su salari e condizioni di lavoro, oltre a campagne promozionali e agevolazioni per incentivare i giovani a diventare infermieri».
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