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criminalità
14 Settembre 2024 - 08:30
Le ragazze venivano fatte prostituire in strada e in appartamento
Tutto è partito dal ritrovamento di una piantagione di marijuana nell'ottobre del 2021 nel comune di San Raffaele Cimena. Nel corso di quell'operazione i carabinieri avevano arrestato in flagranza un 46enne albanese, che aveva la droga sia in casa sia nascosta nel cofano motore della sua Audi A3. Da quel momento è però iniziata una lunga e complessa attività d’indagine che ha portato i carabinieri della compagnia di Chivasso a smantellare un gruppo criminale che si dedicava allo spaccio di droga e allo sfruttamento della prostituzione. Cinque persone sono state arrestate e condotte nel carcere Lorusso e Cutugno: si tratta di un italiano di 49 anni, una donna moldava di 44 e tre fratelli albanesi rispettivamente di 36, 34 e 29 anni. Per altri tre, presunti componenti della stessa banda, è scattato l'obbligo di presentazione giornaliero ai carabinieri. Per una quarta persona, infine, il divieto di dimora a Torino.
Dopo il ritrovamento della piantagione a San Raffaele Cimena, i carabinieri avevano analizzato i telefoni cellulari del 46enne albanese, riuscendo a ricostruire l'attività del resto della banda. Il 46enne aveva due “canali” da cui rifornirsi, uno dei suoi connazionali e l’altro calabrese. Dal primo, è poi emersa l’attività dello sfruttamento della prostituzione, gestita da due fratelli anch’essi albanesi. Le ragazze, originarie dell’Est, venivano fatte prostituire sia in strada, come in corso Giulio Cesare e in via Reiss Romoli, che in appartamento. Location per gli incontri con i clienti era infatti un alloggio situato in via Strambino, a pochi passi da Lungo Stura Lazio.
Mentre la droga veniva stipata all’interno di un appartamento di via Cravero, dove abitava la compagna del 46enne albanese, una 39enne romena. L’uomo, che gli inquirenti hanno definito come “dominus” dell’organizzazione, si spostava a bordo della sua Audi per fare le consegne. Il prezzo? Due chili erano venduti a 500 euro l’etto. La compagna dell’albanese era parte attivissima dell’organizzazione visto che, come hanno appurato le indagini “si è resa protagonista di una serie di azioni che delineano un suo pieno e attivo ruolo, anche criticando il compagno giudicato troppo benevolo nei confronti di taluni acquirenti”. I due fratelli albanesi, invece, avevano sfruttato i loro profondi legami con la criminalità organizzata del loro Paese per reperire le ragazze e farle prostituire, in strada o in appartamento. Per la giudice Ombretta Vanini “tutti gli indagati avevano messo in piedi un’organizzazione sistematica che, in molti casi, vedeva coinvolti acquirenti di lunga data che si rifornivano per un lungo periodo”.
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