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il femminicidio

«Io e te troveremo una soluzione». Gli ultimi post di Nabi Roua prima di essere uccisa

Ecco cosa scriveva sui social la donna accoltellata in via Cigna. Ma le violenze e i maltrattamenti duravano da 4 anni

Nabi Roua e, a lato, i carabinieri in via Cigna

Nabi Roua e, a lato, i carabinieri in via Cigna

«E ora ho trovato una soluzione, non ci crederai. Onestamente, ci ho pensato molto; ha ragione chi dice che bisogna affrontare le difficoltà e che Dio aiuta. Provi tu e io proverò finché non troviamo una soluzione, fratello». Un post scritto sotto una foto che la ritraeva con un bellissimo vestito rosso. E’ l’ultimo scatto che Nabi Roua, la donna morta accoltellata, ha pubblicato sul suo profilo Facebook prima di essere ammazzata dall’ex marito nell’alloggio di via Cigna 66. La giovane tunisina, che avrebbe compiuto 35 anni il 20 ottobre, quell’uomo lo aveva perdonato. O almeno ci stava provando. Abdelkader Ben Alaya, 48 anni, suo connazionale, si trova in carcere in attesa dell’udienza di convalida. E’ accusato dell’omicidio dell’ex moglie, con la quale si era separato due anni fa ma che continuava a frequentare. L’ha pugnalata usando un coltello da cucina, poi è stato arrestato dai carabinieri, mentre andava a costituirsi insieme al figlio più grande.

Come detto, Nabi Roua quell’uomo (che in passato era già stato violento, al punto da venire da lei denunciato e che quest’estate era andato anche in galera) lo aveva perdonato. Anche se a giudicare da alcuni messaggi che la 35enne tunisina postava sui social, qualche dubbio viene. Si perché si va da post come quello precedente, a messaggi come questo: «Correre dietro ai documenti del tribunale richiede impegno e tempo. Buongiorno e così sia». E poi ancora: «Perdonatemi, per favore, i miei figli mangiano, dormono tutta la settimana. E c'è qualcuno come loro? Chi nella mia stessa situazione?». La donna alternava, nei messaggi, momenti in cui perdonava effettivamente l'ex marito a momenti in cui, invece, avrebbe forse voluto rifarsi una vita per conto suo. Insomma, era come se non volesse o non riuscisse a staccarsi da quell'uomo. Quasi come se ci fosse una sorta di “dipendenza” verso un uomo che pure l’aveva maltrattata e anche percossa. E che qualche notte fa non si è fatto remore a ucciderla pugnalandola sotto il seno sinistro davanti ai due figli di 13 e 12 anni. L’uomo è difeso dall’avvocato Gianluigi Marino. Durante l'interrogatorio davanti al pm Giuseppe Drammis, sono stati tanti i «non ricordo» e «non ho memoria» da parte di Abdelkader Ben Alaya. Che però ha rivelato anche il perdono da parte della moglie e le vacanze fatte insieme, quando il 48enne è uscito dal carcere delle Vallette.

E dopo il carcere, Abdelkader Ben Alaya aveva l’obbligo di indossare il braccialetto elettronico. Tuttavia, qualcosa non ha funzionato, dal momento che è avvenuta la tragedia: pare infatti che Nabi Roua, proprio perché voleva perdonare l’ex coniuge, avesse disattivato l’applicazione presente sul suo smartwatch anti-violenza. Eppure, il braccialetto elettronico (che il 48enne al momento dell’arresto portava al piede) avrebbe dovuto funzionare comunque e segnalare la presenza di Abdelkader nell’alloggio di via Cigna.

Ma il braccialetto elettronico, sarebbe davvero servito ad evitare la tragedia? Marco Viglino, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Torino, su questo tipo di misura ha sempre mostrato dubbi: «Il braccialetto elettronico - ha spiegato - non è certo una catena. Non può infatti impedire a un uomo violento di fare del male a una donna. Personalmente è uno strumento in cui credo poco, da tempo, e per certe situazioni e soggetti sono più favorevole ad altri tipi di misure, come i domiciliari o la carcerazione. Il braccialetto non può essere una soluzione».

Violenze e maltrattamenti che duravano da quattro anni. Lo aveva dichiarato Nabi Roua, nell'ultima denuncia, datata 30 giugno scorso, ai carabinieri. «Mi maltrattava almeno due volte al mese. Mi diceva "puttana, vaffanculo" e altre volte mi picchiava», così la 35enne. Liti anche per il passaporto, o per la ricevuta del permesso di soggiorno. «Mi lanciava piatti e sedie addosso - continua Nabi Roua - poi mi afferrava la testa e me la piegava, oppure mi piegava il braccio e me lo girava facendomi male. Mi ha anche detto che suo fratello sarebbe venuto in Italia e mi avrebbe ammazzato».

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