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Il caso

Arrestata per l'omicidio della figlia di 10 mesi: «Raddoppiate le mamme che pensano a farla finita»

Lo psichiatra Enrico Zanalda lancia un appello: «Servono più attenzioni dai servizi e l’approvazione a un nuovo farmaco»

Arrestata per l'omicidio della figlia di 10 mesi: «Raddoppiate le mamme che pensano a farla finita»

La gravidanza che inizia, voluta oppure no. E che poi porta alla nascita di quel figlio di cui prendersi cura 24 ore su 24, senza la certezza di riuscirci: una sensazione che, per sempre più genitori, si trasforma in paura, angoscia, senso di inadeguatezza. E che spesso porta alla cosiddetta “depressione post partum”. Come quella di cui soffriva Carola Finatti, la mamma di Nole che venerdì ha affogato Perla, la sua bimba di 10 mesi. Poi ha tentato di uccidersi: «Le neo mamme che hanno pensieri suicidi sono più che raddoppiate negli ultimi vent’anni» riporta Enrico Zanalda, psichiatra torinese e presidente della Società Italiana di Psichiatria Forense.

A Nole c’è una famiglia chiusa nel suo dolore dopo la morte di Perla a soli 10 mesi. Mentre, alle Molinette, c’è la sua mamma, Carola Finatti. Cioè la donna che intorno alle 13 di venerdì ha ucciso quella neonata, affogandola nella vasca da bagno. Poi ha tentato di uccidersi e per questo è stata operata per tamponare le ferite ai polsi, al torace e al collo: la 34enne è ancora ricoverata nel reparto di Terapia intensiva, intubata ma comunque piantonata dai carabinieri. Perché ora si trova ufficialmente in stato di arresto per omicidio.
È questa l’unica novità investigativa dopo gli accertamenti svolti dai carabinieri e da Elena Parato, il pubblico ministero della procura di Ivrea che coordina l’inchiesta sulla morte della piccola Perla. I militari, insieme ai colleghi della polizia scientifica, hanno analizzato la casa di via Grazioli 39 e l’hanno sequestrata insieme ai biglietti scritti dalla mamma prima di agire: “Questa depressione mi sta uccidendo”. E ancora “non ce la faccio più” e “non riesco a crescere la bambina”. Frasi inequivocabili, che lasciano pochi dubbi agli investigatori su quanto successo nella villetta prima che arrivasse il padre della bimba, Antonio Parrinello. L’uomo, 36 anni, era uscito prima dal lavoro per tornare a casa e accompagnare la moglie dallo psicologo che l’aveva in cura dopo la diagnosi di depressione post partum. Ma ha trovato la porta chiusa dall’interno: ha dovuto passare da una finestra per entrare e vedere Perla e Carola, entrambe esanimi. Ha subito chiamato il 112 e, al telefono con l’operatore, ha iniziato le manovre di rianimazione per salvare la piccola. Ma era troppo tardi: anche i sanitari, quando sono arrivati, non hanno potuto fare altro che constatare il decesso per annegamento. Poi, mentre la mamma veniva soccorsa e trasportata in elicottero alle Molinette, è arrivata anche la conferma del medico legale. La pm Parato disporrà comunque l’autopsia sul corpicino della bimba, in attesa che migliorino le condizioni della mamma: ora è intubata ma nei prossimi giorni verrà svegliata dai medici. A quel punto bisognerà capire cosa ricorda di quanto successo venerdì e se sarà in grado di sostenere l’interrogatorio di garanzia. Dovrà spiegare cosa le sia scattato e l’abbia portata a uccidere la bimba che aveva tanto voluto.


Numeri da paura

Il dato fornito da Zanalda spaventa, anche se in termini numerici fa meno effetto: si parla di 1 caso di «ideazione suicidaria» ogni 20mila mamme. Ma bisogna comunque preoccuparsi se, agli inizi del Duemila, erano 1 su 50mila. Cos’è cambiato in questi vent’anni? «Non si sa bene, forse si sente una maggiore responsabilità: c’è più pressione per essere la “madre perfetta”».

Ci sono anche dati su quante mamme abbiano pensato di uccidere il loro bambino? «No, si sa solo che pensieri di questo tipo sono più frequenti tra le mamme fino a quando i figli compiono 5 anni. Poi il dato tra uomini e donne si pareggia. In ogni caso, chi prende questa decisione sceglie spesso mezzi “dolci” come il soffocamento o l’annegamento: l’idea è che il bambino smetta di soffrire, tendenzialmente attraverso un suicidio allargato». La difficoltà, a quanto pare, è anche riuscire a prevedere gesti simili: «Spesso, se la donna ha un progetto ben chiaro, riesce a non farlo trasparire. Significa che non è stato un gesto d’impulso impulso ma pianificato».

Ma, al di là del desiderio di farla finita, c’è un altro dato che fa impressione sulle mamme: una su 12 soffre di depressione post partum, stando alle stime fornite dallo stesso presidente della Società di Psicologia Forense. Che mette in guardia: «Per molte donne è la cosiddetta “baby blues”, che si risolve spontaneamente in pochi giorni. Altre arrivano a soffrire di patologie molto gravi e a compiere gesti gravissimi, come appunto il suicidio o addirittura l’infanticidio».

Come si interviene?

Al di là di numeri e opinioni, bisogna ragionare su come intervenire per dare sollievo a queste mamme. Zanalda ha qualche idea a partire dall’allopregnanolone: «È una endorfina che le donne hanno in gravidanza e che si interrompe dopo il parto. Pare che sia alla base della depressione post partum ma anche di quella “normale”. Ed è stato introdotto un farmaco contenente una sostanza che fa lo stesso lavoro di quell’endorfina: la Food and Drug Administration lo ha approvato ad agosto 2023 e i risultati sono buoni, anche perché ha una velocità di azione maggiore rispetto agli altri farmaci simili. Speriamo che arrivi presto in Europa».

Intanto bisognerebbe intervenire sul sistema sanitario e sul sostegno alla rete familiare. Perché, come sostenuto dalla psicologa Eliana Bruna su queste pagine, gli aiuti sono minimi: «Negli ultimi anni si è cercato di fare uno screening e di formare le ostetriche per dare maggiore attenzione - fa notare lo psichiatra, che poi ammette - Purtroppo non basta: la depressione post partum, spesso, sfugge e non c’è rete sufficiente per aiutare queste signore. È un peccato».

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