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Il racconto della prigionia

Cecilia Sala: "Ho sorriso quando ho rivisto il cielo"

La reporter: "Contavo i giorni, contavo le dita delle mani e avrei voluto avere un libro da leggere"

L'abbraccio

Con i genitori

«Sei stata forte», ha detto Giorgia Meloni rivolgendosi a Cecilia Sala pochi minuti dopo l’atterraggio. Dritta al punto come sempre, la premier ha sottolineato la virtù che Cecilia ha mostrato in questi difficili giorni di prigionia, la fortezza. Poteva dormire, ma solo sul pavimento in cemento della sua cella. Aveva una sola coperta, mentre gli abiti sono sempre stati gli stessi. Le è stato possibile cambiarsi e indossare una tuta mimetica solo sul Falcon durante il viaggio di ritorno. I suoi carcerieri l’hanno privata del bagaglio, compresi gli occhiali, provocando una condizione di disagio profondo. Lei non ha mai disperato e aveva messo in conto che la reclusione sarebbe potuta durare alcuni mesi: «Non ho mai immaginato - ha dichiarato due giorni fa - che sarei tornata a casa proprio oggi, così presto». Cecilia non aveva considerato la determinazione con cui la premier ha affrontato la vicenda, in prima persona e coordinando la “squadra”. La sera del 7 gennaio, Cecilia Sala si è coricata dopo dopo aver ricevuto la visita della consigliera d’ambasciata Paola Amadei.

La diplomatica, fino a ieri funzionario della Farnesina, e oggi promossa al rango di Ambasciatrice. Un riconoscimento del ministero degli Esteri, verso una persona che è stata di importanza vitale nei negoziati con l’Iran. Dunque, Cecilia, rassicurata, ma non illusa dalla Amadei, si è distesa a terra per trovare qualche ora di sonno in una cella stretta e malsana, buia e con macchie di umido sui muri. Ha ricevuto lo stesso trattamento, nel ramo femminile del carcere, riservato alle donne iraniane che contravvengono alle leggi islamiche. La prigione di Evin è nota anche come “l’Università” per l’alto numero di intellettuali e dissidenti che vi sono rinchiusi, in uno dei Paesi più ostili riguardo i diritti delle donne (l’Iran è al 143esimo posto su 146 nel Global Gender Gap Report 2024) e primo per numero di scrittrici e attiviste imprigionate. La notte, in questa stagione, è particolarmente buia a Theran e da quella che è poco più che una fessura che dà verso l’esterno, Cecilia Sala vedeva solo il fascio luminoso delle luci circolari di sorveglianza e udiva i lamenti di altre detenute, quelle che sono state dimenticate e che nessuno cerca più. Il sonno della giovane giornalista non è mai stato profondo, nonostante la stanchezza che, però, non l’ha piegata. Come se l’Amleto di Shakespeare si trasformasse in un “adagio”, la notte per Cecilia è stata un sovrapporsi continuo di immagini, di pensieri, di sussulti: «Morire, dormire. Dormire, forse sognare». Così fino all’alba, quando la cantilena della preghiera islamica ha rotto un angoscioso silenzio. Qualche ora dopo, ad attendere la reporter c’era l’ambasciatrice che, non con fretta, ma con urgenza, l’ha fatta salire sulla sua auto e l’ha portata, sotto scorta, in aeroporto. Prima, la reporter aveva abbracciato la sua compagna di cella, quella che come lei ha vissuto e continua a vivere giorni e notti di angoscia e che forse Cecilia non rivedrà mai più.

Il decollo è stato ancora più rapido e dal Falcon, via radio, il generale Giovanni Caravelli ha comunicato con unità di crisi della Farnesina, pronunciando la frase che era attesa: «Missione compiuta». Ieri, al suo direttore Mario Calabresi, Cecilia ha confidato: «Sono confusa e felicissima, mi devo riabituare, devo riposare, questa notte non ho dormito per l’eccitazione e la gioia. Quella precedente per l’angoscia, sto bene, sono molto contenta. A un certo punto mi sono ritrovata, ad esempio, a passare il tempo, a contare i giorni, a contare le dita, a leggere gli ingredienti del pane che erano l’unica cosa scritta in inglese». Cecilia ha cercato di portare il suo pensiero al di fuori delle mura del carcere: «La cosa che più volevo era un libro. Era la storia di un altro, qualcosa che mi portasse fuori. Un’altra storia in cui mi potessi immergere e che non fosse la mia in quel momento. Poi ho riso due volte in cella di isolamento. La prima volta che ho visto il cielo e poi quando c’era un uccellino che ha fatto un verso buffo. Il silenzio è un nemico in quel contesto. Ho pianto di gioia, ho riso di gioia». Sì, Cecilia, «sei stata davvero forte».

L'AMBASCIATRICE PAOLA AMADEI

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