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La storia

Malata o genio della truffa? Finta dottoressa a processo: «Non sapeva fare nulla in ospedale»

È cominciato il processo contro Enrica Massone, torinese condannata ieri anche a Torino

Lavorava al pronto soccorso ma aveva solo la licenza media: ora la finta dottoressa va a processo

Enrica Massone ha un vizio di mente o è un genio della truffa, tanto da spacciarsi per operatrice sociale e per medico di pronto soccorso? Sarà una perizia psichiatrica, richiesta dal suo avvocato Massimo Davi, a rispondere a questa domanda. Intanto la 57enne torinese è stata nuovamente condannata a Torino e, nel processo contro di lei a Imperia, emerge come non fosse in grado di fare nulla in ospedale: «Non sapeva suturare una ferita, aveva scarse conoscenze delle terapie e non riusciva a usare il computer - hanno riferito gli ex "colleghi" sentiti oggi in tribunale - Per questo le abbiamo detto di non tornare. Poi ce la siamo ritrovata in corsia pochi giorni dopo...».

In effetti Massone, torinese di 57 anni, è riuscita a lavorare all'ospedale Saint Charles di Bordighera dal 13 al 16 luglio, quando ha visitato i pazienti come “gettonista”. Poi ci è anche tornata dal 7 al 13 agosto, dal 20 al 22 settembre e dal 27 al 28 settembre, presentando delle «pseudofatture» per un totale di 13.300 euro (incassati solo per metà). Le sono bastate poche bugie per riuscire ad accedere al pronto soccorso: «Mi sono laureata in Medicina all’Università di Milano Bicocca nel 1991, poi mi sono specializzata in Medicina Interna nel 1997 e sono iscritta all’Ordine dei Medici di Milano con il numero di tesserino 22305. Ho lavorato in carcere a Torino e ho diretto una Rsa a Recco, in provincia di Genova». Peccato che Massone abbia solo la licenza media. E per questo è finita a processo per esercizio abusivo della professione medica, truffa, tentata truffa e falso ideologico in atto pubblico. 

Nel corso dell'udienza di stamattina sono stati ascoltati in qualità di testimoni, tra gli altri, Paolo Petrassi, direttore del dipartimento di medicina dell'ospedale di Bordighera, e Simone Carlini, direttore del 118 e, all'epoca dei fatti, responsabile del punto di primo intervento dello stesso Saint Charles: «L'ho vista lavorare e non era palesemente in grado - ha dichiarato in aula, aggiungendo - Non sapeva suturare una ferita e aveva forti lacune nell'interpretazione degli esami clinici, confondendo ematocrito con emoglobina. Per questo le dissi di non tornare più e lei stessa mi confermò che non sarebbe più tornata. Quando la rividi qualche giorno dopo in reparto, avvertii immediatamente sia la dirigenza dell'Asl che i vertici della GVM (la società che gestisce l'ospedale Saint Charles di Bordighera, ndr)». Petrassi aggiunge: «Aveva scarse conoscenze delle terapie, sapeva prescrivere solo farmaci da banco e cercava su internet le diagnosi per i casi. Non riusciva a utilizzare il computer e i dispositivi informatici del reparto. Aveva chiesto aiuto per trattare un caso di iperglicemia e per gestire una ferita lacero-contusa da suturare». In pratica, non aveva nessuna competenza per occuparsi dei pazienti.

Mentre a Imperia prosegue, a Torino Massone è stata nuovamente condannata: la Corte d'Appello ha confermato la pena di 4 anni e 3 mesi di reclusione per i reati di truffa e peculato. 

I fatti contestati a Torino risalgono al 2019 ma emergono solo ora la 57enne è diventata “famosa” per le sue gesta in Liguria. Massone era riuscita a farsi nominare da un giudice come amministratrice di sostegno di due anziani, cui ha portato via la pensione per quattro mesi: si è messa in tasca oltre 4mila euro e non ha pagato le rette della casa di riposo. Anzi, ha convinto un uomo e una donna a prendersi cura del suo anziano “assistito”, dicendo loro di essere «responsabile di un centro per minori, direttrice del movimento sociale “Stanchi di Attendere” e in contatto con giudici e avvocati». Non solo, si presentava come «sposata con un appartenente alla Digos della polizia e figlia di un magistrato di Torino».

Ma la vera molla era la promessa di un’assunzione nel dormitorio che Massone gestiva a Torino. E più persone ci sono cascate (anche se solo due hanno poi sporto denuncia): a tutti loro Massone ha parlato di stipendio e mansioni, facendoli anche incontrare in un bar. Il caso più eclatante è quello di un uomo cui era stato garantito uno stipendio di circa 3mila euro mensili: sarebbe stato assunto come dirigente e mediatore culturale in una comunità per minori, avviata grazie a circa 75mila euro ricevuti dall’Unione Europea. Ma anche lui ha assistito un anziano per una settimana senza mai essere pagato. In questo processo l'avvocato Davi non è riuscito a farsi riconoscere le consulenze di parte che attestano i vizi mentali della sua assistita. Anzi, in quella sede la Procura generale ha sottolineato «la particolare propensione a delinquere» della 57enne. Adesso, nel processo ligure, il giudice ha accolto la richiesta e disposto una perizia psichiatrica che chiarirà se Massone sia in grado di intendere e di volere.

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