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La necessità della riforma
26 Gennaio 2025 - 14:31
La protesta messa in scena dai magistrati italiani durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario ha sollevato un dibattito che merita di essere analizzato con la dovuta attenzione. Quello a cui abbiamo assistito è stato uno spettacolo che, lungi dal rappresentare un confronto civile, ha assunto i toni di una vera e propria sfida politica, volta a difendere una casta di privilegi che sembra impermeabile a ogni cambiamento. I magistrati, nel corso degli anni, hanno assunto un ruolo sempre più politico, dimenticando spesso il loro compito originario di garanti della giustizia, diventando di fatto un vero e proprio soggetto politico. Quello che è avvenuto in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario è emblematico di questa deriva. I membri dell'Associazione Nazionale Magistrati (ANM) hanno scelto di contestare apertamente il governo e il Parlamento, trasformando un evento istituzionale in un palcoscenico per la loro protesta contro la riforma della separazione delle carriere tra pubblici ministeri e magistrati giudicanti.
Questa è una riforma centrale nel programma dell'attuale governo, votata dagli elettori e ora in discussione in Parlamento. Eppure, i magistrati sembrano ignorare il principio fondamentale della democrazia: la sovranità appartiene al popolo, esercitata attraverso i suoi rappresentanti. La loro opposizione si è manifestata con gesti plateali e insolenti, come l'uscita dall'aula durante gli interventi dei rappresentanti del governo. Questo comportamento non solo è irrispettoso verso le istituzioni democratiche, ma dimostra un atteggiamento di chiusura al dialogo che contraddice i principi di trasparenza e responsabilità. Il rifiuto di accettare qualsiasi riforma è indice di un sistema che si nutre dell'immobilismo. La magistratura italiana, per fortuna non tutta, nel corso degli anni, ha costruito un potere che va ben oltre i confini del suo mandato costituzionale. Da Mani Pulite in poi, le toghe hanno esercitato un'influenza politica che ha alterato l'equilibrio tra i poteri dello Stato. Questa influenza non si limita alla sfera nazionale, ma si estende anche a livello internazionale, grazie a una rete di alleanze e collaborazioni.
Ma ciò che più colpisce è la difesa strenua dei privilegi. I magistrati, al contrario dei comuni cittadini, godono di una sostanziale impunità per i loro errori. Scandali come quello di Luca Palamara o casi di errori giudiziari clamorosi, come quelli di Enzo Tortora e Beniamino Zuncheddu finiti nel tritacarne della malagiustizia, sono esempi lampanti di un sistema che non si assume mai le sue responsabilità. Perché un magistrato non deve rispondere dei suoi errori, mentre un medico, un ingegnere o un qualsiasi altro professionista sì? La risposta sta nel potere che questa casta ha accumulato e che ora difende con ogni mezzo. La protesta dell'ANM, per la presunta e sempre smentita volontà del governo di sottomettere i pubblici ministeri all’esecutivo, non è solo una difesa dei privilegi, ma un attacco diretto alla democrazia. Contestare il diritto del Parlamento e del governo di legiferare significa invadere le prerogative di altri poteri dello Stato. Il richiamo continuo alla Costituzione è strumentale: nessuno mette in discussione i principi fondamentali, ma è evidente che l'organizzazione e il funzionamento delle istituzioni possono e devono essere riformati per rispondere alle esigenze dei cittadini.
Il motto di Borrelli "Resistere, resistere, resistere", riproposto per sfida, è il simbolo di un'arroganza che non ha più alcun riscontro nella realtà. Oggi, la fiducia dei cittadini nella giustizia italiana è ai minimi storici. Secondo un recente sondaggio, il 54% degli italiani ritiene che la magistratura sia politicizzata. Questo dato dovrebbe far riflettere chi si arroga il diritto di rappresentare la giustizia non solo di amministrarla. La separazione delle carriere è una riforma necessaria per garantire la terzietà del giudice, un principio sacrosanto in tutte le democrazie avanzate. In Italia, invece, la commistione tra le funzioni di giudice e pubblico ministero è stata a lungo un'anomalia che ha contribuito a creare il sistema di potere attuale. Separare le carriere non significa minare l'indipendenza della magistratura, ma rafforzarla, restituendole quel prestigio che negli anni è andato perduto. Il governo e il Parlamento devono procedere con determinazione.
Le resistenze dell’ANM non possono e non devono fermare un processo di riforma che è nell'interesse del Paese. Gli italiani hanno diritto a una giustizia efficace, trasparente e imparziale. Il progetto di mani pulite di una Repubblica giudiziaria giacobina per riformare la politica è giunto al capolinea. La protesta delle toghe è l'ultimo disperato tentativo di un ceto organizzato di mantenere il proprio potere. Ma la maggioranza degli italiani ha già emesso il suo verdetto: il tempo dei presunti ottimati e delle oligarchie è finito. Ora tocca al governo e al Parlamento dimostrare che la volontà popolare non può essere calpestata da chi dovrebbe garantire il rispetto delle leggi. I magistrati tornino al loro ruolo costituzionale e lascino che la politica faccia il suo corso svolgendo i compiti che le sono propri. Questo è il vero rispetto per la Costituzione.
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