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Il tradimento del garantismo: così (ex) magistrati e sinistra si sostituiscono alla politica

Da Mani Pulite al caso Toti, la deriva giustizialista come strumento di una Casta per attaccare il governo

Il tradimento del garantismo: così (ex) magistrati e sinistra si sostituiscono alla politica

C'è stato un tempo in cui la sinistra italiana portava avanti un ideale garantista, un tempo in cui la giustizia non era solo uno strumento di repressione ma un baluardo dei diritti individuali. Ma da allora, tanto è cambiato. L'eredità garantista è stata spazzata via dall'ondata giustizialista che ha travolto il paese con Mani Pulite, fino a trasformare la magistratura in una sorta di attore politico, un potere che non vuole arrendersi, nemmeno di fronte al tempo che passa e alle pensioni che arrivano. Oggi, ex protagonisti come Bruti Liberati, Caselli, Spataro, Gherardo Colombo, Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Pietro Grasso, ecc. non riescono a distaccarsi dall'eco del potere che una volta hanno esercitato e continuano a pontificare sui giornali, invadendo il campo della politica, o entrando direttamente in politica, e criticando aspramente chiunque osi prendere le parti di un garantismo sulla difensiva.

Come annota magistralmente, su Il Foglio, Pigi Battista, il giustizialismo non è stato un colpo di fulmine, ma piuttosto una lenta mutazione genetica che ha corroso la sinistra dall'interno. Luigi Pintor, una delle voci più taglienti della sinistra di un tempo, descriveva nel 1972 i magistrati come "mostri", figure avvizzite e corrotte, vestite da pagliacci in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario. Era un attacco frontale alla magistratura, vista come un potere oppressivo e arbitrario, capace di disporre della libertà altrui con la stessa facilità con cui si maneggia una pistola. Eppure, non ci fu alcuna protesta da parte della sinistra, nessun grido di scandalo. All'epoca, il garantismo non era un'eresia ma una corrente di pensiero rispettata e condivisa. Questo era il contesto in cui Magistratura Democratica, una corrente all'interno della magistratura che inizialmente abbracciava anche idee garantiste, operava con una certa vulnerabilità alle influenze di queste posizioni. Tuttavia, con il passare del tempo e con il consolidarsi dell'idea della "questione morale", tutto cambiò.

Il crollo del Muro di Berlino e la fine del Partito Comunista Italiano, sempre secondo Battista, segnarono un punto di non ritorno. La sinistra, ormai priva del suo tradizionale ancoraggio ideologico, si aggrappò al giustizialismo come nuova bandiera “morale” diventando fervente sostenitrice di un potere giudiziario sempre più politicizzato. Molti magistrati si sentivano come facenti parte di un ceto di ottimati che doveva farsi carico di riformare la società italiana in nome della virtù e della lotta di classe, con lo strumento dei codici, della carcerazione preventiva e della pubblicazione delle intercettazioni, spesso anche delle parti che non avevano rilevanza penale. Questo spostamento si rifletteva in una sempre maggiore subalternità della politica alla magistratura, il suo apice si ebbe con Mani Pulite. Le inchieste giudiziarie, a fronte dell’abdicazione della politica, divennero lo strumento attraverso cui abbattere partiti e avversari politici, in una sorta di purificazione morale che non ammetteva dissenso.

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Questa sottomissione è particolarmente evidente nei casi in cui la magistratura, si avventura, di fatto, sul terreno politico. Un esempio emblematico è stato il trattamento riservato al presidente della Regione Liguria. Liberato dagli arresti domiciliari solo dopo l’atto di formale subordinazione con le dimissioni dal suo ruolo politico ricevuto democraticamente, con le elezioni, dalla maggioranza dei liguri. L’accanimento non ha risparmiato neppure personaggi di sinistra come il sindaco Pd di Lodi Simone Uggetti (ricordato da Battista nel suo articolo) arrestato per una presunta storia di tangenti, condannato a dieci mesi, viene poi assolto una prima volta in appello “perché il fatto non sussiste”. La cassazione cassa la sentenza e si rifà un altro processo in corte d’appello dove finalmente viene definitivamente assolto, dopo una via crucis durata anni. Altro caso emblematico è quello dell’allora senatore del Pd Stefano Esposito, anche lui oggetto di un calvario giudiziario, in questo caso dovuto a magistrati che si credono al di sopra della legge. E’ intervenuta addirittura la Corte Costituzionale con sentenza 227 del 2023 che sancisce “…non spettava alle autorità giudiziarie che hanno sottoposto ad indagine e, successivamente, rinviato a giudizio Stefano Esposito, disporre, effettuare e utilizzare intercettazioni rivolte nei confronti di un terzo imputato, ma in realtà unicamente preordinate ad accedere alla sfera di comunicazione del parlamentare senza aver mai richiesto alcuna autorizzazione al Senato della Repubblica”. Non risulta che siano state prese iniziative sanzionatorie per gli artefici di tali abusi, intanto Esposito ha avuto la carriera politica rovinata.

A Nordio, ex magistrato e attuale ministro della giustizia, di impronta garantista, non viene perdonato il suo passato nella magistratura e il suo attuale ruolo nel governo Meloni. E’ un bersaglio perfetto per quei magistrati che non accettano di essere messi in discussione, figurarsi essere contraddetti. Gli attacchi a Nordio sono solo l'ultimo atto di una guerra aperta tra una parte della magistratura e il governo, una guerra che trova la sua radice nella frustrazione di chi non vuole abbandonare l'enorme potere che ha esercitato negli anni. I giornali degli Elkann-Agnelli fanno a gara nel pubblicare articoli contro le iniziative del governo in tema di giustizia, commissionati a vecchi dinosauri della magistratura ormai in pensione. L’ultimo di ieri di Edmondo Bruti Liberati, scritto in giuridichese stretto, è un atto di accusa a Nordio per tutti i mali della giustizia in Italia e anche per le misure che vuol mettere in atto per cercare di risolverli. Principalmente per l’affollamento nelle carceri e i gravi problemi che ne derivano, compresi i suicidi. Da liberale/garantista viene declassato(?) a “repressivo/securitario per il suo decreto carceri. E l’accusa al guardasigilli è “demagogia securitaria” come se questa oscura locuzione potesse alleviare, se fosse compresa, il peso dei torti subiti dalle vittime di reati o la vita dietro le sbarre dei detenuti.

Il caso Palamara, che ha svelato i meccanismi opachi all'interno della magistratura, avrebbe dovuto essere un momento di riflessione e autocritica per la sinistra manettara e per i suoi alleati togati. E invece no. Nonostante le rivelazioni di una giustizia piegata a logiche di potere e vendetta, l'unica reazione è stata un tentativo di minimizzare lo scandalo, di nasconderlo sotto il tappeto della retorica istituzionale. E così, mentre il giustizialismo continua a divorare la sinistra costretta a inseguire i grillini su queste tematiche, la magistratura più politicizzata prosegue nel suo operato, intervenendo sugli atti del legislativo e del governo come fosse un vero e proprio soggetto politico.

Oggi, i vecchi pubblici ministeri che hanno cavalcato la ribalta durante gli anni di Mani Pulite, come Bruti Liberati, Caselli, Spataro, Colombo e Davigo, non riescono a rassegnarsi alla pensione. Continuano a pontificare, a rilasciare interviste, a scrivere editoriali, mantenendo viva la memoria di un potere che non possono più direttamente esercitare. Il loro ruolo ormai non è più quello di magistrati, bensì di opinionisti che sfruttano il loro passato per cercare di continuare a influenzare l'opinione pubblica e, di riflesso, la politica. Questi magistrati, un tempo osannati come eroi nazionali, sono diventati i portavoce di un giustizialismo che non si limita più a perseguire i reati, ma che si è trasformato in una crociata moralisteggiante contro chiunque osi mettere in discussione l'operato di certa magistratura. E il loro bersaglio principale è proprio il garantismo, visto come una minaccia a prescindere e i garantisti come dei nemici da abbattere.

Questa politicizzazione della giustizia ha creato un corto circuito all'interno della democrazia italiana. La separazione dei poteri rischia di diventare un concetto svuotato dalla realtà di una magistratura che interviene in modo pesante nelle questioni politiche, travalicando i confini che la Costituzione le ha assegnato. E’ giunto il momento di mettere mano in Italia ad una riforma radicale della giustizia. Cominciando dalla separazione delle carriere di giudici e P.M. e l’introduzione di un sistema sanzionatorio per chi commette errori giudiziari. Per fare questo occorre diradare la resistenza al cambiamento, di sapore corporativo, dei magistrati. Tanti, anche fuori dalla maggioranza, chiedono al governo di avere la volontà e la forza di iniziare.

 

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