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L'anniversario
24 Febbraio 2025 - 06:30
Carri armati Russi in Ucraina
Il 24 febbraio 2022, la Russia ha dato il via a una brutale invasione dell'Ucraina, un'aggressione diretta contro uno Stato sovrano che, da tempo, guarda con determinazione all'Europa e all'Occidente. Con il terzo anniversario di questo conflitto, è doveroso ricordare non solo il contesto geopolitico attuale, ma anche il passato, perché la guerra che oggi insanguina il suolo ucraino affonda le sue radici in una storia di violenza, soprusi e mire imperialiste mai sopite. Per comprendere la profondità dell’odio che il Cremlino ha sempre nutrito nei confronti dell’indipendenza ucraina, bisogna tornare agli anni Trenta del Novecento, quando il regime comunista sovietico mise in atto una delle più efferate forme di sterminio di massa: l’Holodomor. Questo genocidio, orchestrato da Stalin con il preciso intento di piegare i contadini ucraini riluttanti a sottostare alla collettivizzazione forzata, provocò tra i cinque e i sette milioni di morti per fame. Un'ecatombe che non fu il frutto di una calamità naturale, ma una strategia di sterminio: requisizioni forzate di derrate e sementi, embargo sui rifornimenti alimentari e deportazioni mirate distrussero il tessuto rurale del Paese.
L’Holodomor fu il primo tentativo, nel XX secolo, di soffocare l’identità ucraina, negandole il diritto stesso di esistere. Quando nel 1941 l'esercito tedesco entrò in Ucraina, una parte significativa della popolazione accolse i tedeschi come liberatori, non per affinità ideologica, ma perché l’oppressione sovietica era stata talmente feroce da rendere i nuovi occupanti, inizialmente, il male minore. Solo la brutalità e la stupidità dei nazisti impedì che l’Ucraina diventasse un bastione antisovietico: il durissimo stato di occupazione e la politica di sterminio verso gli ebrei ucraini resero l’occupazione tedesca un incubo non meno terribile di quella sovietica. Quando nel 1944 l’armata rossa riconquistò il Paese, gli ucraini compresero che l’incubo sovietico era destinato a perpetuarsi. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’Ucraina ereditò un arsenale nucleare di 1.700 testate, il terzo più grande al mondo. Ma nel 1994, con la firma del Memorandum di Budapest, Kiev accettò di rinunciare a questo potentissimo deterrente in cambio di garanzie sulla propria sicurezza. Stati Uniti, Regno Unito e, soprattutto, Russia promisero di rispettarne l’integrità territoriale. Un impegno che Mosca ha violato prima nel 2014 con l’annessione della Crimea e poi con l’invasione su vasta scala del 2022. La scelta dell’Ucraina di fidarsi delle promesse internazionali si è rivelata tragicamente ingenua: mentre il Cremlino si rimangiava ogni parola, l’Occidente esitava, tardando a reagire con fermezza.
L’attuale invasione non è solo una guerra di conquista, ma un attacco ideologico all’identità ucraina. Per Putin, l’Ucraina non esiste se non come parte della “grande Russia”. Il nazionalismo russo è impregnato di una logica assimilazionista, un dogma che non ammette l’esistenza di popoli slavi autonomi al di fuori della sfera di Mosca. Da secoli, il Cremlino cerca di russificare l’Ucraina, prima con il bando della lingua e della cultura ucraina sotto lo zarismo, poi con le deportazioni e gli stermini dell’epoca sovietica, e ora con la distruzione sistematica delle infrastrutture e la deportazione dei bambini ucraini in Russia. Nonostante l’aggressione russa, l’Ucraina ha dimostrato una straordinaria capacità di resistenza.
Il popolo ucraino non ha ceduto né alla minaccia nucleare né alla devastazione delle proprie città. Con l’aiuto dell’Occidente, ha saputo riorganizzarsi, infliggendo pesanti perdite all’invasore. Tuttavia, la guerra è tutt’altro che finita e il sostegno internazionale non può venire meno. Ogni esitazione dell’Europa e degli Stati Uniti è un segnale che Mosca interpreta come una debolezza. La guerra in Ucraina non è solo una questione regionale, ma il banco di prova della credibilità occidentale. Se Putin dovesse prevalere, il messaggio sarebbe chiaro: le democrazie sono vulnerabili, i patti internazionali carta straccia e l’aggressione uno strumento lecito di politica estera. Fermare la Russia significa non solo difendere l’Ucraina, ma preservare l’ordine mondiale fondato sulla legalità internazionale.
Eppure, mentre l’Europa, la più vulnerabile alle minacce putiniane, cerca di mantenere un fronte unito, Donald Trump gioca una partita tutta sua, estranea agli interessi dell’Ucraina stessa. Le sue parole sprezzanti nei confronti del presidente Zelensky e il suo scetticismo verso il sostegno all’Ucraina mettono l’Occidente in una posizione di oggettiva debolezza. Nei colloqui di “pace” a Riad, l’assenza di una leadership occidentale coesa si fa sentire: Mosca ne approfitta per consolidare il proprio vantaggio. Non bastasse, Trump ha persino affermato l’assurda menzogna che sia stata l’Ucraina a iniziare la guerra, di fatto trasformandola in una merce di scambio nello scenario più ampio della competizione tra le tre superpotenze: Stati Uniti, Russia e Cina. Se l’Occidente non ritrova compattezza e determinazione, rischia di consegnare non solo l’Ucraina, ma la propria stessa credibilità al revisionismo geopolitico di Putin. Comunque andranno le cose, l’Ucraina, o quello che ne resterà, rimarrà nel campo occidentale, avendo versato il sangue di tanti suoi figli per la sua libertà contro l’invasore russo.
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