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Europa & Politica

Il pacifismo in retromarcia di Conte e Salvini: ecco perché è grottesco

Mentre l’Europa si prepara a rafforzare la difesa, i due leader si scoprono paladini della pace

“Il sentiero della nonviolenza richiede molto più coraggio di quello della violenza", pensavo fosse Gandhi invece erano Conte e Salvini

C'è qualcosa di irresistibilmente comico nel vedere Giuseppe Conte e Matteo Salvini ergersi a paladini del pacifismo proprio nel momento in cui l'Europa è chiamata a una svolta epocale sulla difesa. Uno spettacolo di equilibrismo retorico che farebbe invidia ai migliori giocolieri del Circo di Mosca: da un lato, Conte sfodera il suo dizionario dei sinonimi della pace, dall'altro, Salvini trasforma la sua già sperimentata politica delle ruspe in una grottesca crociata contro il riarmo. Il risultato? Una tragicommedia tutta italiana, in cui i protagonisti si sforzano di sembrare profondi mentre affondano nel pantano delle loro stesse contraddizioni.

È chiaro che, con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, gli Stati Uniti non garantiscono più il loro tradizionale ombrello militare sull'Europa. Non è un mistero che The Donald considera la NATO una sorta di abbonamento non pagato dall'Europa, un salasso per le casse statunitensi che, secondo il tycoon, non meritano più di essere svuotate per difendere paesi che non fanno la loro parte. L'Europa, dunque, è chiamata a una scelta storica: assumersi la piena responsabilità della propria sicurezza o continuare a coltivare l'illusione che la pace sia garantita da qualche generico buon proposito espresso in un talk show. È proprio a questo bivio che entrano in scena i nostri protagonisti, i cavalieri dell'antimilitarismo last-minute, pronti a menar fendenti contro la sola idea di una difesa europea più solida. Dimenticando, si capisce, che le guerre non si vincono con le buone intenzioni né con le conferenze stampa.

Giuseppe Conte, noto per la sua passione nel collezionare retromarce politiche con la stessa costanza con cui un filatelico accumula francobolli, si è improvvisamente riscoperto profeta della pace. Il leader del Movimento 5 Stelle pontifica contro il riarmo europeo con l'aria di chi ha appena scoperto il segreto della coesistenza pacifica. Peccato che, quando era Presidente del Consiglio, non avesse mostrato alcun imbarazzo nel firmare accordi per l'aumento delle spese militari né nel partecipare a summit NATO dove si ribadiva la necessità di un'Europa più forte e autonoma dal punto di vista della difesa. Ora, invece, che la responsabilità è degli altri, il professor Conte predica il disarmo con la sicurezza di chi sa che tanto ci penseranno sempre gli altri a risolvere i problemi. Nel suo universo ideale, l'Italia e l'Europa dovrebbero difendersi con appelli accorati e una buona dose di retorica pacista. Del resto, se ha funzionato per le mascherine e i banchi a rotelle, perché non dovrebbe funzionare anche con la difesa continentale? Naturalmente, la sua nuova veste di pacifista oltranzista ha un obiettivo preciso: ergersi a leader di un'ipotetica sinistra "dura e pura", differenziandosi dal Partito Democratico. Ogni dichiarazione contro il riarmo è un assist più o meno involontario per i settori più radicali della sinistra, seminando divisioni in un PD che fatica già di suo a trovare una linea coerente. Mentre Elly Schlein cerca di tenere insieme il PD con lo scotch, in Europa il partito si spacca con una metà che vota a favore del piano di riarmo di Von der Leyen e l’altra metà che si astiene, giusto per non sbilanciarsi troppo. Intanto Conte vota contro e soffia sul fuoco, strizzando l'occhio a quella parte dell'elettorato che non ha mai digerito il sostegno del centrosinistra all'Ucraina. Il risultato? Una sinistra ancora più frammentata e un Movimento 5 Stelle sempre più politicamente visibile, con Conte convinto di essere l'unico vero erede del pacifismo italiano.

Ancora più surreale è la posizione di Matteo Salvini. L'uomo che ha costruito la sua carriera politica tra slogan muscolari e invita a "usare il pugno di ferro", oggi si improvvisa scettico sulla necessità di un'Europa militarmente più forte. Che fine ha fatto il leader che chiedeva "più sicurezza, più ordine, più rispetto"? Quale conversione mistica lo ha portato a preoccuparsi della possibilità che l'Europa si armi per non diventare un facile bersaglio delle potenze ostili? La risposta è tanto semplice e scontata quanto deprimente: Salvini non crede davvero nel pacifismo, esattamente come non credeva nel sovranismo europeo quando decantava le lodi di Putin. L'unica vera bussola che lo guida è quella del consenso immediato, e siccome l'elettorato italiano è storicamente allergico all'idea di spendere soldi per la difesa, meglio lanciarsi in una crociata contro il riarmo. Poco importa se un'Europa debole sarebbe in balia di chiunque abbia mire espansionistiche, perché Salvini, in fondo, sa benissimo che le sue dichiarazioni di oggi ed il voto del suo gruppo contro la proposta di Von der Leyen valgono quanto un mojito al Papeete. Il punto più paradossale è che, nel suo farlocco slancio pacifista, Salvini non sta mettendo in difficoltà gli avversari, bensì il suo stesso governo. Mentre Giorgia Meloni cerca di presentarsi in Europa come un interlocutore credibile e lavora per consolidare la posizione italiana nei dossier internazionali, ecco che il leader della Lega le scompiglia le carte, creando imbarazzi e dissonanze. La Premier, che sa bene quanto sia strategico il riarmo per garantire un ruolo di primo piano all'Italia, deve ora fare i conti con un alleato che si comporta più da oppositore che da membro della maggioranza. Un gioco di sponda con Conte? Difficile dirlo, ma di certo Salvini si conferma, ancora una volta, un problema più per il governo che per l'opposizione.

L'elemento più grottesco di questa sceneggiata è che né Conte né Salvini sono pacifisti. Se la retorica della pace fosse davvero la loro bandiera, li avremmo visti protestare quando si firmavano accordi per l'acquisto di armi o per l'invio di aiuti militari. Invece, il loro pacifismo spunta fuori solo quando si tratta di attaccare le scelte strategiche di governi che non controllano. C'è qualcosa di tragicomico in tutto questo: mentre il mondo diventa sempre più instabile, mentre i paesi europei più responsabili si preparano ad affrontare una fase di incertezza globale, in Italia c'è ancora chi gioca a fare il moralista della geopolitica con il manuale delle frasi fatte. L'Europa, volente o nolente, dovrà prendere atto che l'era del pacifismo illusorio è finita. I tempi in cui si poteva immaginare un mondo senza conflitti solo perché lo si desiderava ardentemente appartengono al passato. Il futuro, invece, chiede responsabilità, investimenti e la consapevolezza che la pace si garantisce con la deterrenza, non con le dichiarazioni di principio.

Di una cosa si può essere certi: quando questa consapevolezza diventerà inevitabile, Conte e Salvini saranno ancora lì, pronti a reinventarsi. Forse pacifisti, forse militaristi dell'ultima ora. Dipenderà da cosa diranno i sondaggi. Nel frattempo, l'Europa fa i conti con la storia. Loro, con le prossime elezioni.

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