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L’inchiesta
25 Marzo 2025 - 09:55
Foto di repertorio
I militari del Comando Provinciale della guardia di finanza di Torino stanno eseguendo, dalle prime ore di oggi, un’ordinanza emessa dal giudice del Tribunale di Nola su richiesta dell’ufficio di Torino della Procura Europea: sono finiti in manette 13 membri di un sodalizio criminale radicato in Campania e con ramificazioni in Italia e all’estero, ritenuto responsabile di una frode all’Iva che ha causato 100 milioni di danni al bilancio dell’Unione Europea e dello Stato italiano. Ora 6 degli accusati sono in carcere e altri 7 ai domiciliari (ma gli indagati sono 52). Intanto è stato eseguito un sequestro preventivo proprio di 100 milioni nei confronti di 15 persone fisiche e 13 imprese, anche se gli inquirenti stimano operazioni inesistenti per mezzo miliardo.
Oltre ai finanzieri torinesi, l’inchiesta ha coinvolto poliziotti slovacchi, belgi, lettoni e ungheresi ma anche il Nucleo Speciale Privacy e Frodi Tecnologiche e i reparti competenti in Piemonte, Campania, Lombardia, Toscana e Lazio, con l’uso anche di unità cinofile “cash dog”.
Per le indagini il Nucleo di polizia economico-finanziaria ha utilizzato intercettazioni, osservazioni e pedinamenti, oltre ad analisi sulle banche dati. Così è venuto fuori un complesso sistema evasivo nel settore della commercializzazione e della
lavorazione delle materie plastiche e dei prodotti chimici per l’industria.
In particolare, è stato ricostruito come i polìmeri, provenienti da importanti società intermediarie di diversi Paesi europei, venissero introdotti in Italia con una filiera commerciale in cui erano fittiziamente interposte numerose società “cartiere”, collocate in varie Regioni, che hanno sistematicamente violato gli obblighi di dichiarazione e versamento dell’IVA dovuta.
Le “cartiere”, a loro volta, rivendevano la merce sottocosto ad altre società di comodo in Italia (cosiddette “filtro”): formalmente amministrate da prestanome, erano prive di qualsiasi struttura operativa e di personale alle dipendenze, oltre che totalmente inadempienti verso l’Erario. L’obiettivo era “mettere in mezzo” alla filiera altri soggetti in modo da aumentare i profitti illeciti, rendere più difficile la ricostruzione del meccanismo fraudolento e, soprattutto, impedire di identificare gli effettivi responsabili e dei beneficiari finali. Intanto questa evasione “sistematica” permetteva di immettere sul mercato prodotti a prezzi decisamente più bassi rispetto a quelli di riferimento, facendo concorrenza sleale alle aziende oneste. Perché, a fianco del descritto percorso “cartolare” dei beni si è sviluppato quello “reale”, che andava dagli effettivi grossisti (collocati in altri Paesi europei) agli acquirenti finali, cioè società italiane che utilizzano i polìmeri nei loro ordinari processi industriali, tutte regolari e sparse fra Piemonte, Lombardia e Toscana.
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