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L'inchiesta
28 Marzo 2025 - 05:20
Si indaga sul bus e sul muro che ha sfondato per chiarire cosa sia successo a Nicola Di Carlo, l’autista morto mercoledì pomeriggio cadendo nel Po. Per questo è stata aperta un’inchiesta per omicidio colposo contro ignoti, affidata a Rossella Salvati, sostituto procuratore esperto in tema di infortuni sul lavoro: il primo passo sarà l’autopsia sul corpo di Di Carlo. Poi probabilmente verranno affidate consulenze sulle condizioni dei freni e del pullman in generale, visto che ora c’è chi ipotizza un guasto al “pilota automatico” del mezzo. Ma tanti puntano il dito contro il muro di contenimento, ceduto troppo facilmente sotto il peso di quell’autobus (che ha colpito e ferito leggermente tre donne, oltre a trascinare con sé nell'acqua uno scooter e altri oggetti recuperati ieri).
L’indagine partirà dalle analisi dei filmati, amatoriali e di videosorveglianza, per chiarire il giallo su quanto successo alle 17.33 di mercoledì. Si sa che l’esperto autista arrivava da Lungo Po Cadorna, ha svoltato a destra in piazza Vittorio Veneto e si è accostato. Poi il mezzo è scivolato all’indietro in diagonale: Di Carlo ha avuto un malore? Si è alzato dal posto di guida senza inserire il freno a mano? Qualcosa non ha funzionato nei freni o nel pilota automatico? Tutte domande cui la Procura vuole rispondere con accertamenti approfonditi: l’autopsia, intanto, dovrebbe chiarire se il 64enne aveva acqua nei polmoni e quindi se sia deceduto per morte naturale o per annegamento.
Ma, oltre alle consulenze sul pullman finito sotto sequestro, è probabile che si facciano delle analisi sulle caratteristiche del muro di contenimento che non ne ha fermato la corsa: «È evidente che non fosse costruito a regola d’arte - attacca in una nota Deodato Scanderebech, ex deputato torinese - Mancano i ferri di armatura indispensabili per ancorare il muretto al muro di contenimento. Inoltre i blocchi di pietra risultano semplicemente sovrapposti l’uno sull’altro, senza ancoraggi adeguati».
Non entra nel merito ma interviene sul tema anche Gian Carlo Paternò, comandante vicario dei vigili del fuoco di Torino: «Quel parapetto non è progettato per resistere all’urto di un mezzo di circa 20 tonnellate. Quindi non è facile fare prevenzione da quel punto di vista: bisogna ragionare sulle probabilità e sul rapporto costi-benefici».
Riflette Marco Bona, avvocato che conosce bene la zona dei Murazzi perché tutela la famiglia di Mauro Glorioso, il ragazzo colpito da una bici due anni fa: «È chiaro che quella zona è esposta a rischi perché in discesa (ci sono 7 metri di dislivello fra un lato e l’altro di piazza Vittorio, ndr). La pavimentazione è spesso bagnata, ci sono i binari dei tram e tanti pedoni che passano. Mercoledì c’è stato un “miracolo” ma lì la tragedia è sempre dietro l’angolo. Servono almeno dei “panettoni” per tutelare i passanti». Che, però, devono essere rimovibili per consentire i soccorsi: sembra che l’altra sera non sia successo con i dissuasori piazzati all’inizio della discesa su corso Cairoli. «Quello è un problema che va risolto» garantisce Francesco Tresso, assessore con delega alla Cura della Città.
Poi l'assessore ragiona sulle altre “accuse”: «È giusto alzare l’asticella della sicurezza ma non si può intervenire con muri altri tre metri, bisogna considerare anche le probabilità di un evento come lo schianto di un autobus. Ne ho parlato in queste ore con i vigili del fuoco, con i canottieri e con i gestori dei Murazzi, anche alla luce del tavolo di lavoro che abbiamo già avviato».
Per esempio, il Comune ha già imposto da tempo ai locali di essere dotati di salvagente: «Ora pensiamo di valorizzare la presenza dei circoli dei canottieri, che in questi casi arrivano giocoforza prima di qualunque soccorritore. E intanto pensiamo a moli da cui possano partire i sommozzatori dei vigili del fuoco, a partire da uno all’altezza della nuova sede di corso Moncalieri».
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