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LE INDAGINI

«Non perdono. Lo Stato complice del silenzio». L'omicidio di Cascina Spiotta

Bruno D'Alfonso cerca giustizia per il padre ucciso dalle Brigate Rosse nel 1975

«Non perdono. Lo Stato complice del silenzio». L'omicidio di Cascina Spiotta

In un'aula di tribunale ad Alessandria, il tempo sembra essersi fermato. Cinquant'anni dopo la sparatoria alla Cascina Spiotta, il figlio di un carabiniere ucciso, Bruno D'Alfonso, si trova faccia a faccia con il passato. La sua ricerca di verità è iniziata quando era ancora un adolescente, un lungo viaggio che lo ha portato a confrontarsi con i silenzi e le mezze verità che circondano la morte di suo padre, Giovanni D'Alfonso, avvenuta il 5 giugno 1975.

LA STORIA
La sparatoria alla Cascina Spiotta, nell'alessandrino, è uno degli episodi più controversi degli anni di piombo. Durante un'operazione per liberare l'imprenditore Vittorio Vallarino Gancia, sequestrato dalle Brigate Rosse, Giovanni D'Alfonso perse la vita insieme a Mara Cagol, una delle fondatrici del gruppo terroristico. Oggi, tre ex brigatisti – Lauro Azzolini, Renato Curcio e Mauro Moretti – sono sotto processo, accusati dell'omicidio del sottufficiale dell'Arma. Ma il vero enigma, secondo Bruno D'Alfonso, risiede nei silenzi che hanno avvolto l'intera vicenda.



In aula, Bruno ha raccontato di come, nel 2016, abbia cercato di ricostruire i fatti recandosi a Canelli per parlare con i carabinieri che avevano conosciuto suo padre. Ha visitato la Cascina Spiotta e incontrato l'imprenditore Vallarino Gancia, il quale gli ha rivelato un episodio inquietante: durante un riconoscimento vocale in carcere, aveva identificato alcune voci dei brigatisti, ma il generale Dalla Chiesa lo aveva ammonito a non parlare per la sua sicurezza. Un monito che getta un'ombra lunga su quegli anni difficili.

A quel punto D'Alfonso ha ipotizzato che il silenzio attorno alla morte di suo padre possa essere stato il risultato di un tacito accordo tra lo Stato e le Brigate Rosse, un patto di non belligeranza. «Erano altri tempi, erano gli anni di piombo e credo che ci fosse paura», ha dichiarato. Un'interpretazione che, se confermata, solleverebbe interrogativi inquietanti sul ruolo delle istituzioni in quegli anni turbolenti.



Nonostante il tempo trascorso, Bruno D'Alfonso non ha mai smesso di cercare giustizia. «Non perdono Azzolini, non basta dire mi dispiace», ha affermato, sottolineando come le mezze verità non siano sufficienti per chi ha perso un padre in circostanze così tragiche. 

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