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Il caso

Cascina Spiotta, via al processo dopo 50 anni: «È stato lui a uccidere, abbiamo le impronte»

Colpo di scena in aula dopo l'annuncio del procuratore Emilio Gatti

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«Abbiamo trovato le impronte digitali di Lauro Azzolini. E già quelle, a nostro avviso, sono una prova della sua colpevolezza».

È il colpo di scena, annunciato poco fa dal pubblico ministero Emilio Gatti, che potrebbe riscrivere la storia di Cascina Spiotta e della sparatoria avvenuta quasi 50 anni fa in provincia di Alessandria. Ma anche delle Brigate Rosse e degli Anni di Piombo in Italia.

Gatti, insieme al collega Ciro Santoriello, sostiene l'accusa al processo per i fatti della Cascina Spiotta del 5 giugno 1975: la Corte d'Assise dovrà decidere sulla morte di un carabiniere, Giovanni D'Alfonso, di cui sono stati chiamati a rispondere, a vario titolo, due capi storici dell'organizzazione, Renato Curcio e Mario Moretti, 84 e 79 anni, e il militante Lauro Azzolini, 79 anni (nella sparatoria morì anche Mara Cagol, moglie di Curcio). Un processo iniziato grazie all'esposto presentato da Bruno D'Alfonso, figlio del brigadiere: era stato lui stesso a suggerire di sottoporre ad analisi scientifiche la relazione, redatta in forma anonima, con cui un militante della Br ricostruì le varie fasi della vicenda come se fosse stato presente sul posto. Il documento, trovato dai carabinieri il 18 gennaio 1976 in un covo a Milano, era stato scritto con una macchina per scrivere, ma realizzò anche alcuni disegni a mano: sarebbero quindi rimaste le tracce di una parte di una mano. 

Nei primi processi gli inquirenti si erano limitati ad acquisire solo una copia. In questa inchiesta i pubblici ministeri hanno recuperato l'incartamento negli archivi dell'Arma a Milano e nel 2023 lo hanno affidato al Ris. Il pm Gatti ha sottolineato che sono state trovate 18 impronte, 11 delle quali riconducibili ad Azzolini.

L'avvocato Davide Steccanella, che difende proprio l'ex militante, ha chiesto, fra l'altro, di annullare il decreto di rinvio a giudizio, denunciando quelle che a suo avviso sono numerose irregolarità procedurali: «È un obbrobrio giuridico che fa accapponare la pelle contestare nel capo d'accusa, anche se soltanto a fini procedurali, l'aggravante della finalità di terrorismo, che nel 1975 non era prevista» tuona il legale. Che ha poi ribadito come Azzolini fu già scagionato in istruttoria nel 1987: «Ci dicono che quella sentenza è andata perduta (nell'alluvione del 1994, ndr). E adesso mi chiedo come è stato possibile riaprire un caso revocando una sentenza che non c'è». Ribatte Santoriello: Sulla questione dell'aggravante del terrorismo, se ha ragione l'avvocato, dobbiamo far rifare l'università a tutti i giudici della Cassazione che si sono già pronunciati. Sperando che trovino professori più buoni di lui». Aggiunge Gatti: «Se viene presentato un esposto dobbiamo indagare, non perché ci piace, ma perché esiste l'obbligo dell'azione penale. E dobbiamo indagare applicando le norme che ci sono adesso, non quelle di 50 anni fa».


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