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La sentenza
07 Maggio 2025 - 12:57
I medici del 118 lo hanno sedato "troppo". E lo hanno posizionato sulla barella in modo sbagliato, facendolo morire soffocato nel proprio vomito: per questo ora la moglie e le figlie di Giovanni Luigi Fresia, scomparso il 25 ottobre 2019, hanno vinto la sentenza contro la Città della Salute, cui all'epoca dipendeva il servizio del 118. E avranno diritto a un risarcimento di circa 1 milione di euro: «Non ho mai cercato vendette ma solo giustizia, per evitare che capitasse ad altri - dichiara ora la moglie - Ringrazio gli avvocati Renato Ambrosio, Ludovica Ambrosio e Riccardo Catalano per aver lavorato senza sosta per i diritti di mio marito. Sono stati la sua voce e il grido del nostro dolore». Una vicenda che evoca il caso di Andrea Soldi, morto il 5 agosto 2015 durante un Trattamento sanitario obbligatorio (Tso).
Il 59enne Fresia, messo comunale al Comune di Collegno, era da tempo in cura all'ospedale Martini. Poco dopo la mezzanotte del 25 ottobre di cinque anni fa, dopo una normale giornata di lavoro, si sentiva male e le chiedeva di contattare il 118. L'ambulanza è arrivata poco dopo e i sanitari hanno scelto di sedarlo contro la sua volontà perché lo giudicavano agitato e potenzialmente pericoloso, proprio come in un Tso. Ma hanno usato una dose elevatissima di tranquillanti (Ketamina e Midazolam) invece delle benzodiazepine (come stabilito dal giudice del Tribunale civile, Claudia Gemelli). Inoltre i sanitari omettevano di proteggere le vie aree del paziente, cioè di intubarlo. E lo posizionarono in posizione supina sulla barella dell'ambulanza invece che sul lato, ritenuta la posizione di sicurezza. Per questo il 59enne è arrivato all'ospedale di Rivoli in arresto cardiocircolatorio da soffocamento meccanico dovuto al proprio vomito. E alle 13 è deceduto, lasciando moglie e due figlie.
Gli avvocato Ludovica Ambrosio, Renato Ambrosio e Riccardo Catalano
Le tre donne si sono rivolte allo studio legale Ambrosio & Commodo per scoprire le cause e le responsabilità di questa morte: così, mentre il procedimento penale è stato archiviato, è iniziato il procedimento civile nei confronti della Città della Salute e della Scienza di Torino: all'epoca era l'azienda sanitaria da cui dipendeva il servizio 118 e, di conseguenza, responsabile dell'operato dei sanitari che si occupano dell'emergenza.
I consulenti medici dello studio Ambrosio & Commodo, Roberto Testi e Michele Grio, hanno accertato il nesso causale tra la condotta degli operatori e la morte del signor Fresia. E il 30 aprile il Tribunale civile ha riconosciuto la colpa medica, condannando la Città della Salute a corrispondere un risarcimento milionario alle eredi.
«Dispiace prendere atto come in responsabilità medica, seppure in ambito civilistico, si debba attendere una sentenza per ottenere un corretto risarcimento a favore del cittadino e che la gestione sia in carico ad una assicurazione francese portatrice esclusivamente dei propri interessi di carattere economico» commenta l'avvocato Renato Ambrosio. Per il collega Catalano «Sono tante, troppe, le persone che nel nostro Paese sono andate incontro alla morte a seguito di un trattamento sanitario. Ci auguriamo che questa importante sentenza possa contribuire ad un miglioramento del sistema». Conclude l'avvocato Ludovica Ambrosio: «In questi anni abbiamo condiviso la battaglia della moglie e delle figlie del signor Fresia. Questa pronuncia restituisce dignità e voce a una persona che ha perso la vita in conseguenza di un errore professionale degli operatori sanitari che avevano il compito di curarlo. Inoltre dà l'opportunità di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla pratica talvolta violenta della contenzione farmacologica e sull'impreparazione che spesso i sanitari si trovano a metterla in atto. Si spera che il legislatore intervenga dettando delle accurate linee guida per salvaguardare la sicurezza e la vita del paziente».
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