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08 Maggio 2025 - 22:31
Quei 14 milioni di euro e l'ombra di Trump su Papa Leone XIV
Qualche giorno fa, aveva pubblicato sui social una sua foto vestito da Papa. Una provocazione, il goffo tentativo di apparire simpatico o forse l’ennesima “spacconata”, l’anticipazione di qualcosa - uno statunitense Papa - che sapeva già che sarebbe accaduto?
Avvertenza per i lettori: questo è un articolo ad alto contenuto complottista e come tale va letto. Un sorriso sulle labbra e un’alzata di spalle sapendo che non esistono prove di alcun tipo a suffragare l’ipotesi che l’elezione di Papa Leone XIV sia stata in qualche modo “guidata” da oltreoceano. O no?
Tra i primi a congratularsi con il cardinale Robert Francis Prevost, tramite gli onnipresenti social, è stato proprio lui: Donald Trump. Il presidente Usa ha scritto che «è un onore realizzare che Prevost è il primo Papa americano. È emozionante è un onore per il nostro paese. È un momento molto significativo». Poi Trump si è “prenotato”: «Non vedo l’ora di incontrare papa Leone XIV». Difficile pensare che voglia imporre dazi anche al Vaticano, quindi è facile pensare che al centro delle discussioni ci sarà altro. Magari anche il deficit del piccolo Stato indipendente che l’anno scorso è stato pari a 87 milioni di euro. Secondo gli analisti finanziari, il nuovo Pontefice più che delle anime dovrà occuparsi subito di tentare di mettere in ordine i conti con una spending review rigorosa. A dargli una mano potrebbe essere l’assegno da 14 milioni di dollari staccato pochi giorni fa proprio da Donald Trump in occasione del funerale di Papa Francesco. Un aiuto generoso al Vaticano in difficoltà con i conti, arrivato dagli Stati Uniti che mai, fino a ieri, avevano visto un proprio cittadino salire al trono di Pietro.
Negli ultimi anni, le frizioni tra Papa Bergoglio e il mondo conservatore americano non sono mancate, a causa delle aperture del Vaticano alla Cina, agli omosessuali («Chi sono io per giudicarli?») e per le posizioni su migrazione e clima. Quello di Prevost alla vigilia era invece indicato come un profilo sobrio, moderato e ben visto a Washington. Nei giorni precedenti il Conclave, il Pontificio Collegio Americano, a due passi dal Vaticano, è diventato la “base” del cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York, molto vicino a Donald Trump. Non era tra i papabili, ma è un “kingmaker”, uno di coloro che può muovere molti voti. Dolan in questi giorni sarebbe stato molto attivo: nel suo ufficio improvvisato avrebbe avuto incontri e conversazioni nei quali potrebbe aver “sponsorizzato” la figura di un altro statunitense, Prevost, amato anche in Sud America. E visto con buon occhio da qualcuno che di bianco non ha il vestito ma la Casa.
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