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L'inchiesta

Bimba nascosta nella busta della spesa: «Volevano chiuderla in forno»

I retroscena dell'incredibile vicenda fra magia nera, documenti falsi e l'ipotesi di un “sistema”

Bimba nascosta nella busta della spesa: «Volevano chiuderla in forno»

L’hanno portata dal Marocco sedata e infilata in una busta, portandosi dietro una serie di documenti falsi. Poi l’hanno affidata a un’altra coppia, pronta a chiuderla in forno o a lanciarla dalla finestra nel caso in cui fosse arrivata la polizia. Metodi forse collaudati, visto che che uno degli indagati diceva alla moglie «sono io ad averti insegnato come passare le persone clandestinamente».

Sono tutti retroscena dell’inchiesta sul trasporto di una neonata di 2 mesi dal Marocco a Torino, che vede indagate due coppie di nordafricani. I principali accusati sono marito e moglie, 65 e 46 anni, entrambi in carcere dopo il fermo eseguito dalla Squadra mobile. E tuttora in cella dopo che i giudici del Riesame hanno respinto la richiesta di scarcerazione presentata dai loro avvocati, Roberto Ariagno e Raffaela Carena (che ora ha passato l’incarico alla collega Stefania Giordano).

È dagli atti del Tribunale che emergono i particolari dell’inchiesta coordinata dai pubblici ministeri Chiara Maina e Antonella Barbera. A partire dal contesto in cui è maturata la vicenda: la donna è “nota” perché «svolge riti magici e da alcune intercettazioni risulta che alcune connazionali sanno che usi la magia nera per tenere in soggezione persino le assistenti sociali». Le quali seguono marito e moglie perché hanno tre figli e perché lei ha presentato varie denunce per violenze e maltrattamenti. Ed è dopo l’ennesima denuncia che il marito ha voluto “vendicarsi”, raccontando ai servizi sociali del trasporto della neonata dal Marocco. Da lì è partita l’inchiesta della Procura, cui la moglie ha ribaltato l’accusa: «Mi ha detto che era figlia sua e della sua ex» si è difesa la 46enne.

A dirimere la questione è stato poi un mediatore culturale, che ha raccontato dell’arrivo della bimba in nave da Tangeri a Genova insieme alla signora. E sempre lui ha fornito «un documento a firma della presunta madre biologica della neonata» che accusa il 65enne di averla ingannata «promettendole di sposarla e di andare a vivere insieme in Italia». Un documento che il mediatore e il Tribunale ritengono falso, così come tutti gli altri certificati presentati dagli indagati: erano un tentativo di coprire il piano “diabolico” e sostenere le rispettive accuse di marito e moglie. D’altronde le intercettazioni a bordo della loro Ford Focus, oltre a messaggi e foto, confermerebbero l’accordo fra i due per il trasporto della bimba dal Marocco.

Non solo, i giudici hanno respinto la richiesta di scarcerazione anche perché considerano il marito «professionalmente dedito al trasporto clandestino di stranieri»: un particolare su cui ora potrebbe allargarsi l’inchiesta della Procura, al di là del caso specifico della neonata. Che nel frattempo è stata affidata a una famiglia e dichiarata adottabile grazie all’intervento degli investigatori in via Germagnano 3, dov’era nascosta a casa dell’altra coppia indagata: un “salvataggio” provvidenziale avvenuto il 12 marzo, quando la banda stava già progettando di riportare la piccola in Marocco per evitare conseguenze. L’alternativa? Come detto, lanciarla dalla finestra o nasconderla in forno: «Disperati e del tutto sconsiderati propositi» considerano i giudici del Riesame.

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