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Sanità
03 Giugno 2025 - 23:00
Immagine di repertorio
Una semplice analisi del sangue per diagnosticare l’Alzheimer con un’accuratezza superiore al 90%: non è fantascienza, ma una rivoluzione medica già realtà. Dopo l’approvazione della FDA americana al primo test ematico basato sul marcatore pTau217/β-Amiloide 1-42, l’Italia si conferma protagonista grazie al contributo fondamentale dell’Università degli Studi e dell’Asst Spedali Civili di Brescia in due importanti trial clinici internazionali.
La notizia segna un punto di svolta nella lotta alla malattia neurodegenerativa più temuta e diffusa tra gli anziani. In Italia, si stima che oltre un milione di persone soffrano di disturbi cognitivi legati all’Alzheimer, una cifra destinata a crescere con l’invecchiamento della popolazione. Il nuovo test del sangue offre la possibilità di una diagnosi precoce e non invasiva, superando i limiti dei metodi attuali basati su esami costosi e difficilmente accessibili come PET e punture lombari.
Pubblicato su Nature Medicine, lo studio europeo che coinvolge anche Brescia ha analizzato 1.700 pazienti in cinque Paesi, dimostrando che il nuovo test automatizzato riesce a rilevare la presenza della malattia con altissima precisione: oltre il 90% nei centri specialistici e l’85% in medicina generale. Un secondo studio, condotto su una coorte più ampia e pubblicato su Brain, ha confermato la concordanza tra le diverse tecniche di rilevazione del marcatore pTau217, rafforzando l’affidabilità del test.
Dietro i risultati, un team d’eccellenza guidato da Alessandro Padovani, presidente della Società Italiana di Neurologia, con il supporto della Clinica Neurologica dell’Università di Brescia, del Centro Nocivelli e del Laboratorio centrale degli Spedali Civili diretto da Duilio Brugnoni. Fondamentale anche il contributo dei ricercatori Andrea Pilotto, Paola Quaresima e Beatrice Tolassi.
Il futuro è già in cantiere: grazie a oltre 5,5 milioni di euro di fondi PNRR, la prossima fase di sviluppo punterà a migliorare i test, adattarli a vari contesti clinici e integrarli con tecnologie di imaging, analisi neurofisiologiche e valutazioni cognitive digitali. Obiettivo finale: arrivare a uno screening cerebrale diffuso nella popolazione generale, per intervenire in anticipo, prima che i sintomi diventino irreversibili.
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