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Istruzione
15 Giugno 2025 - 18:30
Foto di repertorio
Nel momento in cui si sceglie l’università, la domanda è sempre la stessa: quale laurea garantisce un futuro lavorativo? La risposta, però, è tutt’altro che semplice. Se da un lato nessun corso di studi è davvero inutile, secondo i dati raccolti, è certo che alcuni indirizzi presentino maggiori difficoltà d’inserimento nel mondo del lavoro, spingendo molti studenti a ripensare le proprie scelte in funzione di ciò che offre il mercato.
L’archeologia è uno degli esempi più emblematici: affascinante sul piano culturale, ma poco redditizia sul piano occupazionale. I dati parlano chiaro: un tasso di disoccupazione del 33,3% e offerte di lavoro spesso temporanee e lontane da casa. Simile il destino per chi sceglie antropologia, con sbocchi limitati e concorrenza elevata.
Altro percorso ad alto rischio è quello in Arti e Scienze Teatrali, dove il 32,4% dei laureati fatica a trovare impiego. Il settore dello spettacolo è saturo, segnato da dinamiche poco meritocratiche e dalla crescita di piattaforme digitali che riducono le occasioni “tradizionali”.
Anche la laurea in Lettere e Filosofia, nonostante l’enorme valore storico e intellettuale, registra un ritardo nell’ingresso nel mondo del lavoro, con solo il 10-20% dei laureati occupati entro il primo anno. La sovrabbondanza di profili umanistici e la carenza di investimenti culturali rendono precario il destino di molti neolaureati.
Sorprende poi la situazione di Giurisprudenza, un tempo considerata via sicura verso la stabilità economica. Oggi il 14,6% dei laureati è disoccupato, gli iscritti calano e i guadagni medi degli avvocati scendono. La formazione accademica spesso non tiene il passo con le nuove esigenze del settore legale, come il diritto digitale o le consulenze sulla privacy.
In definitiva, non esistono lauree inutili, ma esistono mercati saturi, offerte deboli e cambiamenti sociali che impongono nuove strategie.
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