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LA SENTENZA

Vendetta di ‘ndrangheta dagli anni ‘60: trent’anni di carcere per i due sicari

Giuseppe Gioffrè fu ucciso a colpi di pistola in un giardino pubblico a San Mauro, nel 2004

Vendetta di ‘ndrangheta dagli anni ‘60: trent’anni di carcere per i due sicari

La Corte d’Appello di Torino ha confermato poco fa le condanne a trent’anni di reclusione per Paolo Alvaro, 60 anni, e Giuseppe Crea, 47 anni, accusati dell’omicidio di Giuseppe Gioffrè, avvenuto nel 2004 a San Mauro Torinese. La sentenza conferma quanto stabilito in primo grado, compresa l’aggravante di tipo mafiosa.
Crea ha scelto il rito abbreviato: Alvaro, invece, quello ordinario.
Gioffrè, pensionato di 77 anni, fu ucciso a colpi di pistola in un giardinetto pubblico davanti alla sua abitazione a San Mauro, nel torinese. Secondo quanto ricostruito, il delitto fu l’epilogo di una vendetta di 'ndrangheta iniziata negli anni sessanta, quando Gioffrè, allora commerciante a Sant’Eufemia di Aspromonte (Reggio Calabria), durante un litigio causò la morte di due persone legate a un clan locale. Mentre era in carcere per quei fatti, gli furono uccisi la moglie e il figlio. Uscito di prigione nel 1976, si trasferì in Piemonte, dove ricostruì una nuova vita. Ma nel 2004 fu vittima di un agguato.
Nel tempo, fu arrestato un primo sospettato, condannato a 21 anni. Le indagini furono riaperte nel 2022 grazie a nuovi strumenti informatici e all’analisi del Dna su una bottiglietta rinvenuta nei pressi di un’auto data alle fiamme dai killer. Da lì si arrivò agli arresti di Alvaro e Crea. Secondo la ricostruzione investigativa, nel 1964, subito dopo il duplice omicidio, un parente di una delle vittime si avvicinò al corpo e ne bevve il sangue, in segno di promessa di vendetta. In aula, la difesa di Alvaro (rappresentata dall’avvocato Valerio Spigarelli) ha tenuto un’arringa di circa tre ore «Si tratta di un errore giudiziario» attacca Spigarelli «una condanna per un’impronta che è stata analizzata all’epoca dei fatti dai Ris di Parma e che aveva dato esito di non compatibilità con il mio cliente».

L’avvocato ha spiegato come secondo lui sia inattendibile il risultato che, invece, nel 2021 ribalta il tutto «un frammento, di qualità pessimo, che è stato nuovamente analizzato dallo stesso operatore che se ne occupò la prima volta: un esame che, se ripetuto cento volte, può dare cento risultati diversi. Perchè se un tempo ci si affidava a un algoritmo adesso è a discrezionalità di cosa vede l’analista». La famosa impronta trovata sulla bottiglietta corrisponde ad Alvaro per 19 punti (per la Cassazione ne bastano 16 per attribuzione). Invece, per quanto riguarda Crea, le impronte trovate, assieme alla polvere da sparo, erano di sui guanti di lattice dell’uomo.

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