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Il caso

Martina Oppelli, terzo no al suicidio assistito: “Ora valuto la Svizzera”

La triestina tetraplegica, malata di sclerosi multipla, vede negato un suo diritto: l’azienda sanitaria non riconosce il trattamento vitale necessario

Martina Oppelli, terzo no al suicidio assistito: “Ora valuto la Svizzera”

Martina Oppelli, 49 anni e architetta triestina, convive da oltre vent’anni con la sclerosi multipla che l’ha resa tetraplegica. Da tempo ha manifestato la volontà di ricorrere al suicidio medicalmente assistito per porre fine alla propria sofferenza, diritto riconosciuto in Italia in casi specifici grazie alla sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019. Tuttavia, l’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina (Asugi) ha negato per la terza volta l’accesso alla procedura, motivando il diniego con l’assenza di un trattamento di sostegno vitale, requisito necessario per poter procedere legalmente.

Secondo quanto riferito dall’Associazione Luca Coscioni, che segue legalmente la vicenda di Martina, questa decisione è stata contestata poiché la donna dipende da assistenza continua e da presidi medici fondamentali, come farmaci e macchine per la tosse, elementi che dovrebbero configurare la presenza di un trattamento vitale.

Martina ha fatto sapere di aver sempre rispettato tutti i requisiti previsti dalla normativa vigente e dalle pronunce della Corte, ma si è detta rassegnata all’idea di dover affrontare un’ennesima estate di sofferenze, che non ritiene più sostenibili. Ha aggiunto di aver sempre amato la vita, ma ora si trova costretta a ricorrere a questo diritto estremo.

Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell’Associazione Coscioni, ha definito la posizione dell’azienda sanitaria come un trattamento disumano, paragonandolo a una forma di tortura. Ha inoltre sottolineato come le condizioni cliniche di Martina siano in continuo peggioramento e che, nonostante la completa dipendenza dalla assistenza medica, la commissione abbia nuovamente escluso la presenza del trattamento di sostegno vitale, contravvenendo quindi alla sentenza della Corte costituzionale.

Il 19 giugno scorso, l’avvocata Gallo e il suo team legale hanno presentato un’opposizione formale al diniego, accompagnata da una diffida e una messa in mora nei confronti dell’azienda sanitaria. Quest’ultima ha risposto assicurando l’avvio immediato di una nuova procedura di valutazione.

Nel frattempo, l’Associazione Coscioni ha lanciato una campagna di raccolta firme per una legge di iniziativa popolare sul fine vita, con l’obiettivo di raccogliere 50mila firme entro il 15 luglio, in modo da poter presentare il testo in Senato il 17 luglio, giorno in cui è prevista l’apertura della discussione parlamentare sul tema. La proposta di legge mira a legalizzare tutte le scelte legate al fine vita, inclusa l’eutanasia, e a coinvolgere pienamente il Servizio sanitario nazionale, assicurando tempi certi ai pazienti.

Martina ha espresso grande delusione nei confronti dello Stato, affermando di aver sperato in un riconoscimento del diritto all’autodeterminazione per chi, come lei, si trova allo stremo delle forze. Al momento, ha dichiarato di sentirsi stanca e scoraggiata e di essere costretta a pensare a un viaggio verso un Paese vicino che riconosce questo diritto con compassione, offrendo una possibilità di sollievo che in Italia le viene negata.

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