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Ambiente
02 Luglio 2025 - 17:10
Quando eventi climatici estremi come alluvioni e inondazioni colpiscono con violenza, le conseguenze non si limitano purtroppo solo alle persone e alle loro abitazioni. Un dramma spesso trascurato è quello che coinvolge gli animali, in particolare quelli allevati a scopo alimentare, che non sempre possono essere messi in salvo per tempo. I numeri emersi da un recente report sono impressionanti e rivelano una realtà sconcertante. Prendendo in considerazione undici dei casi più rilevanti degli ultimi anni, si stima che almeno 15 milioni di capi di bestiame abbiano perso la vita, intrappolati in stalle e recinti invasi dall'acqua e dal fango, o travolti da macerie e detriti a seguito di crolli causati da tifoni e uragani. Questo costo in vite animali si traduce in un danno economico globale di circa 120 miliardi di euro.
Un circolo vizioso da migliaia di morti di animali d'allevamento
Il report, intitolato «Climate Doom Loop» (che evoca il "circolo vizioso" del destino climatico), è stato diffuso dall'associazione ambientalista internazionale Compassion in World Farming (Ciwf) e getta luce sulla complessa relazione tra allevamenti intensivi, cambiamenti climatici ed eventi estremi.
La pubblicazione evidenzia infatti un paradosso inquietante: i fenomeni meteorologici estremi sono una conseguenza diretta del riscaldamento globale e dell'inquinamento atmosferico. Tuttavia, gli allevamenti intensivi sono, a loro volta, tra i principali responsabili delle emissioni di gas serra nell'atmosfera.
Tra gli undici eventi globali analizzati nel report spiccano per la loro tracicità:
Un appello per un settore dell'allevamento più sostenibile
Il documento della Ciwf sottolinea che «A livello globale i sistemi alimentari sono responsabili di un terzo delle emissioni totali di gas serra». In particolare, «il settore zootecnico, dominato dall'allevamento intensivo, coinvolge 95 miliardi di animali terrestri e produce più emissioni dirette di Ghg di tutti gli aerei, treni e automobili del mondo messi insieme». Se la domanda globale di carne continuerà secondo l'attuale ritmo, avverte il report, il settore potrebbe contribuire ad aumentare il riscaldamento globale di quasi 1 grado centigrado entro il 2100, rendendo di fatto impossibile rispettare gli accordi di Parigi sul clima e contenere l'aumento delle temperature globali.
Di qui la pressante richiesta di politiche che incentivino una vera e propria transizione verso modelli di produzione del cibo più basati sulle risorse vegetali, che impatterebbero meno sulle emissioni risultando, al contempo, più salutari. Secondo il rapporto, una riduzione del consumo di carne potrebbe da un lato diminuire drasticamente le emissioni di gas serra, e dall'altro aumentare il numero di persone che potrebbero essere sfamate, grazie all'adozione di pratiche agricole rigenerative e ottimizzando l'uso del suolo e delle risorse.
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