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IL CASO
14 Luglio 2025 - 17:36
La corte d’assise di Alessandria ha condannato all’ergastolo Giovanni Salamone, 62 anni, di Agrigento, per l’omicidio della moglie Patrizia Russo, 53 anni, uccisa lo scorso 16 ottobre nella loro abitazione di Solero, in Piemonte. Il pubblico ministero aveva richiesto una pena di 21 anni, ma la corte ha ritenuto più grave la responsabilità dell’imputato. Salamone, dopo aver inferto sette coltellate alla moglie, aveva chiamato i carabinieri confessando l’omicidio e dichiarando di essere “posseduto da Satana”. Nei mesi precedenti, Patrizia Russo si era detta preoccupata per lo stato depressivo del marito, temendo che potesse fare “qualche sciocchezza”. L’uomo, difeso dall’avvocato Salvatore Pennica, soffriva di una profonda depressione legata a difficoltà economiche e all’assenza di un lavoro stabile. Dopo l’arresto, ha tentato il suicidio in carcere. I due figli della coppia, di 27 e 23 anni, si sono costituiti parte civile, assistiti dagli avvocati Maria Luisa Butticè e Annamaria Tortorici. La corte ha disposto a loro favore una provvisionale di 250 mila euro ciascuno. Le legali hanno espresso soddisfazione per il verdetto, sottolineando come sia stato riconosciuto pienamente lo stato di responsabilità dell’imputato al momento del delitto. «Francesco e Giuliana hanno accolto la sentenza con la compostezza che li ha sempre contraddistinti», hanno dichiarato, auspicando che questa fase possa rappresentare un passo verso la normalità dopo un lungo periodo di dolore e sofferenza. Le avvocate hanno inoltre evidenziato l’importanza della provvisionale, strumento essenziale per garantire un sostegno economico ai due giovani, che ora potranno far fronte almeno parzialmente alle difficoltà materiali derivanti dalla tragedia. «Resteremo al loro fianco per assicurare che possano accedere ai canali istituzionali di tutela previsti per le vittime di reati così gravi», hanno aggiunto. Butticè e Tortorici hanno definito la vicenda «una storia tristissima», ma hanno lodato il lavoro della corte che ha posto al centro del giudizio le vittime, soprattutto Patrizia Russo, «che non ha avuto voce per difendersi». Hanno infine ricordato la figlia Giuliana, «che ha espresso con grande rispetto il dolore della madre», ribadendo che «la giustizia deve impedire che la vita altrui venga disposta come si vuole».
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