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Sanità

Scoperta una nuova forma di diabete nei giovani africani: diagnosi e cure da rivedere

Il 65% dei casi analizzati non rientra nelle classificazioni esistenti

Scoperta una nuova forma di diabete nei giovani africani: diagnosi e cure da rivedere

Una nuova forma di diabete è stata identificata nell’Africa subsahariana tra bambini e giovani adulti: una scoperta che potrebbe rivoluzionare la comprensione e il trattamento di questa malattia. Secondo lo studio Yoda, il più ampio mai condotto nella regione, due su tre pazienti diagnosticati con diabete di tipo 1 soffrirebbero in realtà di un sottotipo sconosciuto, privo dei marker tipici della malattia autoimmune. Questo significa che molti giovani africani potrebbero ricevere cure non adeguate alla loro condizione.

Pubblicata sulla rivista The Lancet Diabetes & Endocrinology, la ricerca è frutto della collaborazione tra le università di Yaoundé (Camerun), Witwatersrand (Sudafrica), Exeter (Regno Unito) e l’Unità MRC/UVRI in Uganda, con il finanziamento del National Institute for Health and Care Research britannico.

Lo studio ha coinvolto quasi 900 pazienti in Camerun, Uganda e Sudafrica, tutti diagnosticati con diabete tipo 1 prima dei 30 anni. Eppure, il 65% di loro non presentava né anticorpi autoimmuni, né predisposizione genetica alla malattia. Inoltre, non mostravano tratti riconducibili ad altre forme conosciute di diabete, come quello di tipo 2 o correlato alla malnutrizione.

Questa condizione, definita dai ricercatori come un “nuovo sottotipo non autoimmune”, non compare nelle attuali classificazioni internazionali del diabete. Eppure, potrebbe essere diffusa su scala regionale, con caratteristiche ambientali o genetiche specifiche.

«Ci siamo sempre chiesti – racconta Jean Claude Katte, autore dello studio e ricercatore a Exeter – perché alcuni giovani sopravvivessero senza insulina, cosa insolita nel vero diabete di tipo 1. Ora abbiamo la conferma che si tratta di qualcosa di diverso». A sostegno dell’ipotesi, un confronto con oltre 3.000 bambini statunitensi ha rivelato che il nuovo sottotipo esiste anche, in misura limitata, tra gli afroamericani, ma è assente tra i bianchi.

Per Moffat Nyirenda, direttore del MRC/UVRI in Uganda, i risultati «sfidano le nostre convinzioni sul diabete giovanile». E avverte: «Dobbiamo adattare diagnostica e terapia al contesto africano». Sulla stessa linea Eugene Sobngwi, esperto camerunense di sanità pubblica: «Se non investiamo in ricerca mirata, rischiamo di diagnosticare e curare milioni di persone in modo errato».

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