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La proposta

Leva obbligatoria, l’Italia ci ripensa: torna il dibattito su difesa e reclutamento

Sospesa dal 2005, la leva militare torna a far discutere: interrogativi sul suo ruolo strategico in Europa

Leva obbligatoria, l’Italia ci ripensa: torna il dibattito su difesa e reclutamento

Negli ultimi mesi, il tema della leva obbligatoria è tornato al centro del dibattito politico italiano. Dopo quasi vent’anni di sospensione – la riforma risale alla legge 226 del 2004, in vigore dal 1° gennaio 2005 – la possibilità di un ritorno del servizio militare o civile obbligatorio è tornata a far discutere, spinta dalle tensioni internazionali e dal progressivo riarmo europeo.

A riaccendere il confronto è, prima di tutto, la guerra in Ucraina, iniziata nel 2014 e divenuta un conflitto su larga scala dal 2022. E anche se un confronto diretto tra Russia e NATO è considerato ancora improbabile dagli analisti, cresce nei governi europei la sensazione di dover rafforzare le difese nazionali.

Molti Paesi hanno già fatto scelte nette. La Svezia, entrata nella NATO nel 2024, ha reintrodotto la leva nel 2017. In Norvegia e Finlandia il servizio è attivo per uomini e donne, mentre Estonia e Lituania, al confine con la Russia, considerano la coscrizione una colonna portante della sicurezza nazionale. Anche in Germania, il cancelliere Olaf Scholz ha aperto al tema: «Servono nuove forme di reclutamento», ha detto di recente, pur senza avanzare una proposta di leva classica.

Nel nostro Paese la situazione è più complessa. L’articolo 52 della Costituzione prevede ancora che “il servizio militare è obbligatorio nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge”. Tecnicamente, dunque, la leva non è stata abolita ma solo sospesa. Basterebbe un atto del governo per reintrodurla. Negli ultimi anni, esponenti politici di diversi schieramenti – dalla Lega di Matteo Salvini fino a frange del centrosinistra – hanno ipotizzato forme di servizio universale (civile e militare), con durata breve e finalità educative o sociali, sulla scia del National Service francese.

Anche dallo Stato Maggiore della Difesa sono arrivati segnali. Il capo Giuseppe Cavo Dragone, citato più volte da Reuters, ha parlato della necessità di ripensare la riserva militare, mentre all’ultimo vertice NATO dell’Aia si è discusso della possibilità di portare le spese per la difesa al 5% del PIL. Una linea condivisa dalla maggioranza dei partner europei, ma non dall’Italia, che resta l’unico Paese in controtendenza.

Secondo i sondaggi, infatti, la maggioranza degli italiani non ritiene necessario aumentare la spesa militare, anche se la percentuale favorevole alla leva (anche civile) è in crescita, pur restando minoritaria.

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