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app di messaggistica
14 Settembre 2025 - 19:40
In Russia, da settembre, ogni nuovo smartphone, tablet o smart TV venduto ha preinstallata un’applicazione che si chiama MAX. All’apparenza, è una normale app di messaggistica, simile a WhatsApp o Telegram. Ma la sua nascita e il contesto in cui viene promossa raccontano una storia ben diversa: MAX è il nuovo strumento digitale voluto direttamente da Vladimir Putin per rafforzare il controllo dello Stato sulle comunicazioni private e ridurre la dipendenza dai servizi occidentali.
MAX è stata sviluppata da VK, la stessa azienda che gestisce il social network Vkontakte, ed è vicina al Cremlino tramite Yuri Kovalchuk, imprenditore e stretto alleato di Putin. L’app è stata progettata in seguito a un decreto presidenziale dello scorso giugno, che ne ha imposto l’adozione su larga scala.
A oggi in Russia non si tratta più solo di preferenze tecnologiche: MAX è diventata una presenza obbligata su tutti i dispositivi venduti nel paese. In parallelo, WhatsApp e Telegram – le due app finora più usate – sono state ostacolate pesantemente: da metà agosto le chiamate tramite queste piattaforme sono state bloccate, ufficialmente per motivi di sicurezza nazionale.
A preoccupare attivisti e osservatori internazionali non è solo la diffusione dell’app, ma soprattutto le sue condizioni d’uso: MAX si riserva il diritto di condividere i dati degli utenti con qualsiasi ente statale che ne faccia richiesta, senza particolari garanzie sulla privacy. Una posizione molto distante da quella di WhatsApp, che ha sempre rifiutato di fornire dati al governo russo, anche a costo di subire restrizioni.
Secondo analisti e dissidenti, il vero obiettivo di MAX è proprio quello di facilitare la sorveglianza di massa e scoraggiare l’uso di app considerate più “libere”. Il governo sta spingendo l’app in vari settori pubblici, imponendone l’uso nelle scuole, per esempio, per comunicare con le famiglie. Più MAX viene usata, meno spazio rimane per le alternative. Un passaggio fondamentale per quella che il Cremlino chiama “sovranità digitale”, un progetto che mira a tagliare i legami con le tecnologie straniere e a creare un internet “controllato”, fatto di strumenti locali, gestiti direttamente o indirettamente dallo Stato.
WeChat in questo caso si configura come modello: l’app cinese che unisce messaggi, pagamenti, servizi pubblici e molto altro. Anche in Russia si punta a integrare MAX con i servizi dello Stato – dai pagamenti digitali ai documenti ufficiali – trasformandola in una piattaforma centrale nella vita quotidiana. Per ora questo è solo un progetto, ma gli sforzi sono evidenti.
La propaganda filogovernativa la sta promuovendo come un’alternativa “patriottica” alle app occidentali, spesso con toni goffi e caricaturali: in un video musicale, il cantante Egor Krid elogia MAX dicendo che “funziona anche in mezzo al mare”. Intanto, oltre 30 milioni di utenti in Russia hanno già iniziato a utilizzarla, anche se rimane ancora lontana dai numeri di Telegram o WhatsApp.
L’adozione forzata di MAX si inserisce in un contesto molto più ampio di repressione e censura. Dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina nel 2022, il governo russo ha accelerato il controllo sul web: Facebook e Instagram sono stati banditi, è nata una versione di Wikipedia "filogovernativa" chiamata Ruviki, e la diffusione di contenuti considerati “estremisti” viene punita con multe. La lista di ciò che è proibito supera ormai le 500 pagine, e include contenuti LGBT+, musica ucraina e riferimenti ad Alexei Navalny, il più noto oppositore del regime. Anche l’uso delle VPN è diventato indispensabile per accedere a molti siti bloccati, mentre l’accesso a Internet viene spesso limitato localmente, con blackout digitali che possono durare giorni.
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