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Il caso
25 Settembre 2025 - 15:58
«Mi stanno indagando per il mio pensiero. Perché condanno lo sterminio e il genocidio di Gaza». Così si difende Yassine Atrass, 38 anni, consulente contabile, all’uscita dagli uffici della Questura di Torino. Nelle sue mani, il decreto di perquisizione firmato dalla Procura. Sul provvedimento si legge la contestazione: propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa, con l’aggravante dell’antisemitismo. La mattina del 24 settembre, all’alba, la Digos ha perquisito l’abitazione e lo studio professionale dell’uomo, che collabora con commercialisti, legali e aziende. Gli agenti hanno sequestrato il cellulare, da cui intendono isolare i messaggi ritenuti potenzialmente istigatori all’odio. Secondo quanto trapela, al centro dell’inchiesta – attualmente coperta da segreto istruttorio – ci sarebbero una serie di post pubblicati da Atrass sui social. Messaggi in cui compaiono espressioni come «ammazza bambini», riferite agli autori del massacro di Gaza, o la definizione di «Stato ebraico terrorista». In altri post, l’uomo scrive: «Spero che non dormiate sereni», e ancora: «Vorrà dire che siamo tutti antisemiti». In più occasioni, l’indagato avrebbe taggato l’Unione Giovani Ebrei d’Italia e l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, segnalando apertamente le proprie posizioni. Secondo Atrass, si è trattato di un modo per «non nascondersi», e per «dialogare con chi la pensa diversamente». Ma sarà ora compito della magistratura stabilire se si tratti di legittima opinione o di istigazione. «Sono italiano, vivo a Torino da quando ho sette anni, ho studiato economia, lavoro e pago le tasse», spiega il consulente. «Sono musulmano praticante, ma non sono un terrorista. I miei profili sono pubblici, i messaggi sono visibili a tutti. Pensavo fosse un mio diritto denunciare quanto accade a Gaza». I suoi legali, Francesca Caseri e Andrea Giovetti, parlano di un confine sottile: «Il problema è il bilanciamento tra libertà di espressione e tutela da contenuti discriminatori. Ma colpire chi manifesta opinioni personali, per quanto scomode, è in contrasto con le garanzie costituzionali». Al momento, non risultano altri provvedimenti restrittivi. L’indagine, in fase iniziale, ruota attorno alla valutazione del linguaggio utilizzato nei post, e all’impatto che questi possono avere sul pubblico. Il numero di follower, circa 300, viene ritenuto secondario rispetto alla portata dei messaggi, che gli investigatori considerano comunque rilevante. La Procura contesta l’aggravante dell’antisemitismo, una delle circostanze previste dalla legge Mancino. Se confermata, potrebbe rendere il quadro accusatorio più grave.
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