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CRONACA GIUDIZIARIA
09 Ottobre 2025 - 04:45
Le urla non finivano mai alla Coppina, quartiere popolare di Chivasso. Ma una frase, tra tutte, ha finito per cambiare le cose: «Ti taglio i seni e li metto in pentola». È una delle minacce finite agli atti del processo in corso al tribunale di Ivrea, dove un muratore marocchino è imputato per maltrattamenti contro la moglie, madre dei suoi figli. Una vicenda che non parla solo di violenza domestica, ma anche di pressioni culturali, controllo economico e umiliazioni ripetute nel tempo. Non era la fame, stavolta, a far scattare le discussioni – l’uomo lavorava regolarmente in edilizia – ma l’uso dei soldi: secondo l’accusa, venivano spediti in Marocco alla famiglia d’origine, mentre in casa – cadente, con il bagno a pezzi – ogni spesa diventava motivo di scontro. In aula si è parlato di minacce, di mobili rotti, di profumi troppo cari che facevano scattare scenate. Ma anche di interventi esterni: dalla moschea, dove più volte sarebbe stata convocata la donna, sono arrivati tentativi di “riconciliazione” che puntavano, più che alla sua tutela, al ritorno dell’equilibrio familiare. «Brava, vedi che stai diventando ubbidiente», è una delle frasi emerse durante il dibattimento. A parlare sono anche i carabinieri, intervenuti nel luglio 2022, dopo due notti segnate da urla e porte prese a calci. Nessuna lesione evidente, ma una situazione definita “esplosiva”. L’avvocata Giuseppina Sollazzo, che assiste la donna, ha spiegato così l’impianto accusatorio: «Non siamo davanti a maltrattamenti tradizionali. Qui il nodo è culturale: un sistema di controllo, fatto di regole che valgono per l’imputato come se fossero legge, ma che nel nostro ordinamento non hanno alcun valore». Il processo è ancora in corso. Tra i testimoni anche il figlio maggiore della coppia, oggi studente universitario, che ha raccontato anni di silenzi e paura. Anche quando il coltello non si vedeva.
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