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Il caso

"Gran Riserva Italia", non è Grana Padano: Corte d’Appello di Torino condanna un caseificio per evocazione illecita della Dop

Una decisione che il direttore generale del Consorzio, Stefano Berni, ha definito “luminosa” e destinata a fare giurisprudenza

"Gran Riserva Italia", non è Grana Padano: Corte d’Appello di Torino condanna un caseificio per evocazione illecita della Dop

Non basta un nome altisonante o un logo ben studiato per avvicinarsi, anche solo nell’immaginario, al Grana Padano. La Corte d’Appello di Torino ha condannato un caseificio italiano per l’uso ritenuto indebito della denominazione “Gran Riserva Italia” su un formaggio a pasta dura da grattugia. Secondo i giudici si è trattato di una vera e propria evocazione illecita della Dop protetta a livello europeo, in particolare della categoria “Riserva Oltre i 20 mesi”, che identifica il Grana Padano più stagionato. Il caso ruotava attorno a un prodotto venduto nella grande distribuzione organizzata in forme da circa 26 chilogrammi, con scalzo laterale arrotondato e marchiato a fuoco con un logo ellittico, attraversato dalla scritta “Italia” e circondato dai termini “Gran Riserva” e dal claim “Latte 100% italiano”. Per il Consorzio di tutela del Grana Padano Dop, che aveva avviato la causa, si trattava di una classica operazione di “evocazione”: una presentazione commerciale capace di richiamare – anche indirettamente – il prodotto autentico agli occhi del consumatore, pur senza riprodurne il nome o i marchi ufficiali. Una strategia, insomma, che può indurre in errore sulla vera natura del formaggio. La Corte ha accolto la tesi, osservando in sentenza come forma, dimensione e lessico utilizzati nel marketing del prodotto “Gran Riserva Italia” fossero idonei a generare confusione. Le parole “Riserva” e “Italia”, insieme alla forma delle forme, secondo i giudici torinesi, “avevano lo scopo di suggestionare il consumatore circa la provenienza e la qualità del prodotto”. Una decisione che il direttore generale del Consorzio, Stefano Berni, ha definito “luminosa” e destinata a fare giurisprudenza: “Riprende e porta nei tribunali italiani i principi già stabiliti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, diventando così una pietra miliare contro i similari e contro politiche di immagine e comunicazione fuorvianti”. La sentenza si inserisce infatti in un contesto normativo preciso: le Dop sono protette anche da evocazioni indirette, non solo dall’uso non autorizzato del nome. La tutela riguarda anche quegli elementi – come forme, colori, terminologie o simboli geografici – che possono, anche solo per assonanza o allusione, far credere a un legame con il prodotto originale. Nel merito, la Corte torinese ha stabilito che non è sufficiente l’origine italiana del latte o l’aspetto simile per avvicinarsi a un marchio Dop. Quella del Grana Padano è una filiera regolata, sottoposta a disciplinari, controlli e certificazioni. Tutto il resto – come dimostra questa sentenza – non può essere solo marketing.

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