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Il caso
10 Ottobre 2025 - 16:50
A otto anni dal disastro di Rigopiano, si riapre in tribunale la vicenda giudiziaria legata alla valanga che il 18 gennaio 2017 travolse l’hotel nel comune di Farindola, causando la morte di 29 persone.
Oggi, davanti alla Corte d’Appello di Perugia, è iniziato il processo bis disposto dalla Corte di Cassazione, che aveva annullato in parte la precedente sentenza.
Sul banco degli imputati siedono dieci persone: sei funzionari e dirigenti della Regione Abruzzo, accusati di disastro colposo per la mancata redazione della Carta valanghe, e quattro ex amministratori locali e tecnici comunali, per i quali i reati di omicidio colposo e lesioni colpose risultano già prescritti.
Secondo la Suprema Corte, la mancata elaborazione della Carta di localizzazione del pericolo valanghe ha bloccato i meccanismi di prevenzione e protezione civile.
Per i giudici, se tale documento fosse stato redatto, l’hotel Rigopiano sarebbe probabilmente rimasto chiuso durante l’inverno, evitando così la tragedia.
Proprio per questo motivo, i sei dirigenti del Servizio di Protezione civile della Regione Abruzzo dovranno affrontare un nuovo processo, accusati di omessa prevenzione e negligenza nella gestione del rischio.
Anche oggi, in aula, erano presenti i familiari delle vittime, che hanno indossato pettorine con le foto dei loro cari per ricordarli e chiedere giustizia.
«Mai più una tragedia simile», hanno ribadito con forza.
L’udienza di apertura è stata breve: dopo la relazione della giudice Carla Giangamboni, il presidente della Corte, Paolo Micheli, ha rinviato i lavori al 17 novembre, data in cui è prevista la requisitoria del sostituto procuratore generale Paolo Barlucchi.
Altre udienze sono già fissate per il 20, 24 e 27 novembre, e per il 1° e 4 dicembre.
La valanga di Rigopiano resta una delle più gravi tragedie italiane degli ultimi decenni. Innescata da forti nevicate e da una scossa di terremoto, la massa di neve e detriti distrusse completamente l’albergo situato alle pendici del Gran Sasso.
I soccorritori affrontarono condizioni proibitive, con strade bloccate, mancanza di comunicazioni e temperature glaciali, mentre i superstiti attesero per ore sotto le macerie.
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