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Attentato contro Sigfrido Ranucci, indaga l’Antimafia: un ordigno esplosivo come messaggio di stampo mafioso

Una bomba ha distrutto le auto del conduttore di Report e di sua figlia a Pomezia. La Direzione Distrettuale Antimafia coordina le indagini per accertare la matrice dell’attacco contro il giornalista sotto scorta dal 2014

Attentato contro Sigfrido Ranucci, indaga l’Antimafia: un ordigno esplosivo come messaggio di stampo mafioso

Una bomba esplosa nella notte ha distrutto le auto di Sigfrido Ranucci, conduttore di Report, e di sua figlia, parcheggiate davanti alla loro abitazione a Campo Ascolano, frazione di Pomezia, alle porte di Roma. L’ordigno, contenente circa un chilo di esplosivo, avrebbe potuto uccidere chiunque fosse passato in quel momento. L’attentato, di chiara matrice intimidatoria, è ora al centro di un’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, guidata dal pm Carlo Villani e coordinata dall’aggiunto Ilaria Calò.

L’ipotesi di reato è danneggiamento con l’aggravante del metodo mafioso. Gli accertamenti sono stati affidati ai carabinieri del Nucleo investigativo di Frascati e alla Digos di Roma, impegnati nella ricerca di filmati e indizi utili all’identificazione dei responsabili.

Ranucci, scosso ma illeso, ha raccontato: “Sono tornato a casa da poco, le auto sono esplose mezz’ora dopo il mio arrivo. Mia figlia era passata lì venti minuti prima. L’esplosione avrebbe potuto uccidere”. Il giornalista, sotto scorta dal 2014 per minacce legate a inchieste su mafia e corruzione, aveva già denunciato episodi inquietanti: proiettili trovati fuori casa, pedinamenti, tentativi di delegittimazione.

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha parlato di un “atto gravissimo e mafioso” e ha disposto il rafforzamento della protezione del conduttore. “Un attacco non solo alla persona, ma alla libertà di stampa e alla democrazia”, ha dichiarato.

Solidarietà è arrivata da tutta la politica e dalla Rai, che in una nota ha ribadito che “nessuna minaccia fermerà il diritto all’informazione libera”. Anche la premier Giorgia Meloni e il ministro Antonio Tajani hanno condannato il gesto, definendolo “un attentato alla libertà di informare”.

L’inchiesta antimafia punta ora a capire chi volesse colpire Ranucci e perché, in un contesto che richiama le strategie mafiose di intimidazione verso chi, come lui, dà voce alla verità attraverso il giornalismo d’inchiesta.

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