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Schlein ad Amsterdam, la sinistra che parla all’Europa e non agli italiani

La segretaria del PD usa l’attentato a Ranucci per accusare l’Italia. Meloni replica: “È delirio puro”. Ma il vero problema è un partito che ha smarrito idee, radici e rispetto per la realtà

Schlein ad Amsterdam, la sinistra che parla all’Europa e non agli italiani

Elly Schlein ad Amsterdam ha fatto ciò che ormai le riesce meglio: accusare l’Italia davanti a un pubblico straniero. Dal palco del congresso dei socialisti europei, la segretaria del PD ha dichiarato che “la libertà di parola è a rischio quando governa l’estrema destra”, prendendo a pretesto l’attentato incendiario alle auto del giornalista Sigfrido Ranucci.

Un episodio grave, certo. Ma non un simbolo politico, né la prova di un regime nascente. La sinistra italiana si è trasformata in un collage ideologico indistinto, un contenitore di slogan senza contenuti. Il suo unico collante è l’odio verso il governo, la sua unica strategia è la delegittimazione costante. Mentre il Paese reale – quello dei lavoratori, delle imprese, delle famiglie – resta fuori da qualsiasi agenda.

E così, l’episodio di Amsterdam è solo l’ennesima tappa di un declino politico e culturale. Un partito che aveva la vocazione di governare si è ridotto a club di retorici e moralisti. E la sua leader, più impegnata a parlare all’estero che a capire l’Italia, non sembra nemmeno accorgersene.

Giorgia Meloni ha replicato con una frase destinata a restare: «Siamo al puro delirio». E in effetti c’è qualcosa di delirante nel trasformare un fatto di cronaca ancora da chiarire in un manifesto di propaganda internazionale.

La scena è sempre la stessa: Schlein che denuncia, Meloni che risponde, e il Paese che osserva, stanco di sentirsi descritto come un luogo oppresso, incivile, illiberale. È la sinistra del nuovo millennio: più attenta ai palchi d’Europa che ai problemi degli italiani, più pronta a indignarsi che a proporre soluzioni.

Il Partito Democratico è diventato un partito che non parla più di economia, lavoro, sviluppo. Parla di simboli, di minoranze, di battaglie ideologiche. La sua classe dirigente ha sostituito la competenza con la morale e l’analisi con la demagogia. Una volta c’erano i professori, i giuslavoristi, gli amministratori che studiavano. Oggi restano le dirette social, gli slogan e gli hashtag.

Schlein guida un partito che preferisce il vittimismo alla visione. Si allea con Giuseppe Conte, l’avvocato del popolo evaporato, e confonde la collaborazione tattica con la subordinazione strategica. Intanto gli elettori tradizionali del centrosinistra, quelli che un tempo riempivano le sezioni e difendevano i contratti, se ne vanno in silenzio. La sinistra che un tempo costruiva, oggi accusa. E mentre Meloni difende — con qualche ragione — l’immagine del Paese, il PD continua a cercare applausi fuori dai confini.

Il risultato è un partito smarrito, incapace di parlare al suo popolo e di misurarsi con la realtà dei conti pubblici devastati proprio dai governi che lo hanno preceduto. Da Amsterdam arriva l’ennesima conferma: la sinistra italiana non combatte più per cambiare il Paese, ma per cercare di restare protagonista del dibattito. E quando la politica si riduce a questo, la propaganda non è più un mezzo: è l’unico contenuto rimasto, è un talk show perpetuo, dove si parla molto di diritti ma pochissimo di doveri, e dove ogni sconfitta diventa “una battaglia culturale. I padri fondatori, quelli che credevano nella politica come studio e servizio, oggi non riconoscerebbero più la loro creatura.

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