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TORINO E' COME PARIGI

Città dei Maranza, una grande banlieu: «Le organizzazioni con vertici e capi»

Ogni fenomeno di devianza criminale ha origini e sviluppi: cosa sta succedendo alle nostre periferie e, soprattutto, come potrebbe evolversi?

Città dei Maranza, una grande banlieu: «Le organizzazioni con vertici e capi»

Maranza. Chi sono? Dove vivono? Ma soprattutto, a chi fa comodo la loro presenza? Il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, afferma che «Torino dovrebbe tenere i dehor dei locali aperti tutto l’anno, sarebbe una piccola Parigi». Le reazioni immediate. «Torino come Parigi grazie ai dehor? E’ un’ambizione che coltiveremo quando governeremo la città» secco il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, intervistato a margine dell’evento per i tre anni del Governo Meloni. «A oggi abbiamo visto le banlieu, a Torino, una città dove un sindaco ha faticato a dissociarsi da coloro che aggredivano le forze dell’ordine».


Ogni fenomeno di devianza criminale ha origini e sviluppi. Lo spiega bene il noto criminologo Sergio Caruso:
«Anche in questo caso dobbbiamo capire il perché agiscono così. Un fenomeno sociale che ha un’area geografica e si parla di settentrione, al Sud Italia vi sono altri tipi di organizzazioni criminali. Questi ragazzi costruiscono un’identità deviante, basata su illeciti e furti». Poi «Se non viene fermata ora attraverso interventi di prevenzione, rieducazione e attraverso gli interventi delle forze dell’ordine, sarà una deriva. Questi soggetti vanno contenuti e fermati, non sempre servono le analisi. Ci vogliono azioni», spiega Caruso. «Controllano alcuni territori. Sono arabi di seconda generazione e con loro ci sono anche italiani, tutti provenienti da contesti di disagio ed emarginazione. Hanno i loro schemi e i loro capi, come tutti i gruppi devianti e distruttivi».
Musica, identità. Baby Gang, Simba La Rue. Qualcuno dirà, è solo musica. E invece no, perché arte e cultura da sempre fanno parte del costume. Un’ideologia che urla rivendicazione, vendetta. Come a doversi affermare e conquistare un posto in un mondo dove, probabilmente, questi giovani criminali faticano a sentirsi a casa. E intanto il panico dilaga nelle strade, la gente chiude le serrande al calar del sole, nessuno parla con una camera puntata in faccia, ancora viene poi riconosciuto e preso di mira. Collanine strappate da dosso, rapine in monopattino, coltelli e lame di fortuna per minacciare, per dire «Dammi tutto quello che hai in tasca».

Risse davanti ai minimarket, spesso per quelle che sembrano quisquilie e che in realtà sono dimostrazioni, affermazioni, «se manchi di rispetto a me e ai miei una volta poi penserai di poterlo fare sempre». Controllano un’area che si va espandendo a macchia d’olio. Un fenomeno che inizialmente sembrava un titolo acchiappaclick per raccattare visualizzazioni online, un dramma che oggi ancora non tutti riescono a vedere per quello che è. Perché sicuramente a qualcuno questo fa comodo, loro fanno comodo. Schieramenti politici che parlano di integrazione e gli stessi ragazzini altro non sono che i pupazzi con cui mettono su un teatrino. Li compri con poco, non si tratta di soldi, ma di considerazione, l’unica cosa che non possono conquistare puntando una lama: sentirsi “visti”, affermare la propria esistenza. Non è ribellione giovanile, non è una questione di ormoni e pubertà. Non sono più solo piccoli atti criminali, ora li troviamo anche nei cortei e nelle manifestazioni, principalmente quelle legate al conflitto mediorientale, tra gli antagonisti dell’area anarchica e dei centri sociali. Come poche settimane fa quando al termine di un corteo che era stato pacifico hanno colpito diversi poliziotti con bottiglie e pietre, davanti alla Prefettura, in piazza Castello. Anche per i fatti proprio di quella notte il Sap ha inviato al capo della polizia una richiesta formale per l’avvio di procedure di riconoscimento premiale a favore del personale impiegato nei servizi di ordine pubblico. Solo a Torino, sono stati feriti 50 agenti negli ultimi eventi.

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